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Ritratto di Martin Lutero di Lucas Cranach (1529)

Martin Lutero, nome italianizzato di Martin Luther (Eisleben, 10 novembre 1483Eisleben, 18 febbraio 1546), è stato  un teologo tedesco. Fu l’iniziatore della Riforma protestante.

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Biografia  [modifica]

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Luteranesimo

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Monumento di Lutero a Eisleben

Nel 1497 Lutero frequentò la scuola di latino a Magdeburgo presso i Fratelli della vita comune, un’associazione religiosa d’origine medievale.
Per volontà del padre si iscrisse all’università di Erfurt (1501), dove conseguì il titolo di Baccalaureus artium.
Fu nella biblioteca di questa università che Lutero lesse per la prima volta la Bibbia: «Mi piacque moltissimo», disse «e volevo ritenermi abbastanza fortunato da possedere un giorno quel libro».
Il 17 luglio 1505, a ventidue anni, Lutero entrò nel convento agostiniano di Erfurt dove approfondiva gli scritti di San Paolo e Sant’Agostino e fu ordinato sacerdote nel 1507, nonostante la contrarietà del padre, non convinto della sua vocazione.
Il giovane monaco agostiniano si dedicò agli studi teologici ed alla pratica delle virtù monastiche a cominciare dall’umiltà.
Johann von Staupitz, il vicario generale dell’ordine, fu attratto dalle capacità e dalla disciplina del giovane e lo segnalò al principe elettore Federico III di Sassonia, detto il Saggio, che aveva appena fondato l’Università di Wittenberg e cercava nuovi insegnanti.
Nel 1508 Lutero iniziò l’insegnamento della dialettica e della fisica leggendo e commentando l’Etica Nicomachea di Aristotele all’università di Wittenberg, quindi diresse le disputationes degli studenti.
Proseguì poi i suoi studi di teologia e delle scritture.
Nel 1510 fu inviato a Roma in rappresentanza del convento agostiniano di Erfurt per questioni interne all’Ordine dove rimase scandalizzato per tutto quello che aveva constatato nel clero. Si dice che entrando in piazza del Popolo, sia caduto in ginocchio esclamando: «Salve Roma santa, città di martiri, santificata dal sangue che essi vi hanno sparso».[1]
Il 19 ottobre dell’anno seguente si laureò in teologia.
Nel 1513 iniziò le lezioni sui Salmi all’università di Wittenberg.
L’anno successivo papa Leone X concesse l’indulgenza plenaria ad ogni fedele che dopo la confessione e la comunione avesse fatto un’offerta per la costruzione della basilica di San Pietro a Roma.
Nell’anno 1515 Lutero fu nominato, dal capitolo degli Agostiniani, vicario generale dei numerosi conventi del distretto della Misnia e della Turingia, e secondo la consuetudine il vicario generale Staupitz lo invitò ad accompagnarlo in visita a molti di questi importanti monasteri. Nello stesso anno iniziò le lezioni sull’Epistola ai Romani. In seguito nel 1517 emanò 95 enunciati o “tesi” contro le indulgenze papali, scatenando la reazione della chiesa cattolica.

La dottrina della giustificazione per fede  [modifica]

Martin Lutero

Negli anni di Wittenberg la riflessione luterana sul rapporto tra Dio e uomo si fece sempre più intensa. Lutero vive una religiosità di tipo medioevale. Egli non vive la crisi della religiosità tradizionale tipica di una cultura rinascimentale che non gli appartiene (cfr. L. Febvre, “Martin Lutero”, Bari 1969). È un uomo del passato, vive la fede come i suoi antenati. Si può dire che quasi senza volerlo[2] egli si trovò ad essere l’inconsapevole elemento catalizzatore di un enorme fenomeno storico.

Tra la fine del 1512 e l’inizio del 1514, Lutero provò l’esperienza della torre (Turmerlebnis): un’improvvisa rivelazione, cioè l’assioma fondamentale della religione protestante, come egli stesso ammise gli venne in mente mentre si trovava «nella latrina della torre», leggendo e meditando sulla lettera di San Paolo ai Romani,[3] ed in particolare su alcuni passi, come: «poiché non c’è distinzione: tutti infatti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, essendo giustificati gratuitamente per la Sua grazia, mediante la redenzione in Gesù Cristo, che Dio ha esposto per espiazione col Suo sangue mediante la fede», da Romani 3,23-25; «poiché noi riteniamo che l’uomo è giustificato per mezzo della fede, senza le opere della legge», da Romani 3,28; «giustificati dunque per la fede, abbiamo pace con Dio, per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l’accesso a questa grazia nella quale stiamo saldi e ci gloriamo, nella speranza della Gloria di Dio», da Romani 5,1-2.

Lo studio della Bibbia, la preghiera e la meditazione lo aiutarono a pervenire a un intendimento diverso di come Dio considera i peccatori. Da qui, derivò l’idea che il favore di Dio non è qualcosa che si possa guadagnare, ma viene concesso per immeritata benignità a coloro che manifestano fede.

Nella teologia paolina infatti l’apostolo sostiene che se noi avremo fede saremo giustificati da Dio per i meriti di nostro signore Gesù Cristo. Dio, e lui solo, ci darà la grazia, la salvezza giustificandoci. È questo il punto centrale di tutta la dottrina Luterana: egli infatti intende giustificati in senso letterale (iustum facere): essere resi giusti da ingiusti che siamo per natura (cfr. V. Subilia, “La giustificazione per fede”, Brescia 1976).

È l’onnipotenza divina che è in grado di fare questo: trasformare il nero in bianco, rendere giusto ciò che per sua natura è profondamente ingiusto. È inutile che l’uomo “con le sue corte braccia” tenti di raggiungere Dio. L’uomo non può lusingare Dio con le buone opere, tanto più che il peccato originale lo porterà di nuovo irrimediabilmente a peccare. Tutto dipende da Lui, che interviene direttamente sull’uomo. Non c’è più bisogno del mediatore tra Dio e l’uomo: il sacerdote, ma è Dio che nella sua onnipotenza salva chi ha deciso ab aeterno (dall’eternità) di salvare.

Lutero riesaminò mentalmente l’intera Bibbia per determinare se questa nuova conoscenza era in armonia con altre dichiarazioni bibliche, e ritenne di trovarne ovunque la conferma.

La dottrina della giustificazione, o salvezza, per fede e non mediante le opere, o la penitenza, rimase il pilastro centrale degli insegnamenti di Lutero, che erano comunque derivati da quelli di Wycliff e di Huss.

Differenza con la teologia cattolica  [modifica]

È dunque esclusivamente Dio che salva, nella misura in cui, in quanto onnipotente, è in grado di trattare come giusto ciò che per sua natura è ingiusto. Ma per i protestanti è solo la fede che salva. La Chiesa cattolica, in merito al problema della giustificazione, crede sulla necessità sia della grazia divina che della cooperazione umana, fatta di fede ed opere: l’uomo è sì corrotto dal peccato originale, ma il suo libero arbitrio non è completamente annullato, e dunque trova, con l’aiuto della grazia divina, la forza per risorgere. Una seconda differenza sta nel fatto che per la teologia cattolica posteriore al Concilio di Trento la giustificazione è un effetto reale operato nel fedele dalla grazia di Dio, mentre per la teologia luterana, e per parte della teologia cattolica anteriore al Concilio di Trento, la giustificazione del fedele è la stessa grazia di Dio, ossia è uno dei modi in cui Dio può decidere di considerare un peccatore: il modo di considerarlo come giustificato. Resta fermo che per i teologi di entrambe le confessioni l’uomo non merita, da sé, la grazia di Dio.

Secondo i cattolici la dottrina luterana getta l’uomo nella disperazione. Mentre il cattolico, tramite i sacramenti, può presumere di avere ottenuto il perdono ed essere in grazia di Dio, il luterano non dispone di segni che gli possano far ritenere probabile di essere stato predestinato alla salvezza; può solo sperarlo e crederlo fortemente, e quanto più sarà stato peccatore, tanto più potrà e dovrà esprimere fortemente la sua fede di essere salvato.[4]

Al presente, tuttavia, è difficile individuare gli effettivi punti di disaccordo tra teologia luterana e teologia cattolica. Il 31 ottobre 1999 ad Augusta il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e la Federazione Luterana Mondiale hanno sottoscritto una “Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione” nella quale si approva, in sostanza, la dottrina luterana, per poi in definitiva affermare che non c’è sostanziale differenza teologica e si affermò, da entrambe le parti, che la teologia è una sia per i protestanti in genere, che per i cattolici o per gli ortodossi.

I punti fondamentali della dottrina luterana  [modifica]

I capisaldi della dottrina luterana possono essere così sintetizzati:

  • Salvezza per sola fede: la salvezza non si ottiene a causa delle buone azioni; si ottiene solamente avendo fede in Dio, che può salvare chiunque Egli voglia.
  • Sufficienza delle ‘Sacre Scritture’: per comprendere le ‘Sacre Scritture’ non occorre la mediazione di concili o di papi; ciò che è necessario e sufficiente è la grazia divina e una conoscenza completa ed esatta di esse.
  • Libero esame delle ‘Sacre Scritture’: chiunque, illuminato da Dio, può sviluppare una conoscenza completa ed esatta delle ‘Scritture’.
  • Sacerdozio universale: per ricevere la grazia divina non occorre la mediazione di un clero istituzionalizzato: tra l’uomo e Dio c’è un contatto diretto.
  • predestinazione del bene e del male
  • negazione dell’infallibilità papale
  • l’uomo compie azioni pie poiché è giustificato dalla grazia di Dio: non è giustificato a causa delle sue azioni pie.

La predica contro le indulgenze  [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce 95 tesi di Lutero.

Si trattava dunque di un’interpretazione letterale del pensiero di San Paolo che mal si conciliava con la consuetudine ecclesiastica di concedere il perdono ai peccatori pentiti, e che spesso si manifestava tramite un’effettiva vendita dell’indulgenza dietro un pagamento che simboleggiava il sincero pentimento e le buone opere da compiere per essere perdonati ed ottenere una remissione delle pene.

All’epoca si credeva generalmente che dopo la morte i peccatori venissero puniti per un periodo di tempo. Tuttavia si diceva che questo periodo poteva essere abbreviato grazie alle indulgenze concesse con l’autorizzazione del papa in cambio di denaro[5].

La predicazione contro la vendita delle indulgenze fu, quindi, il primo atto “riformatore” intrapreso da Lutero, giacché proprio a Wittenberg il principe Federico aveva impiantato tale pratica, avendo ottenuto da Roma il permesso di esercitarla una volta l’anno il giorno di Ognissanti.

In tre occasioni, nell’anno 1516, Lutero parlò contro le indulgenze, affermando che il semplice pagamento non poteva garantire il reale pentimento dell’acquirente né che la confessione del peccato costituisse di per sé una sufficiente espiazione.

La situazione degenerò nell’anno seguente (1517) quando un altro esempio di vendita delle indulgenze dalle amplissime ramificazioni richiamò l’attenzione di Lutero.

Tutta la questione era nata due anni prima con la bolla Sacrosancti Salvatoris et Redemptoris, emessa il 31 marzo 1515 da papa Leone X, con la quale questi nominava il principe Alberto di Brandeburgo commissario delle indulgenze per un tempo di otto anni. Scopo del principe era quello di ottenere la prestigiosa carica di arcivescovo di Magonza che effettivamente ottenne (nel 1516) dietro un pagamento di diecimila ducati finanziati dalla casa d’affari della famiglia Fugger. Con metà dei redditi generati dalla vendita delle indulgenze, poi, Alberto avrebbe risarcito i suoi creditori, mentre l’altra metà avrebbe costituito un’ulteriore offerta alla Chiesa di Roma per la “fabbricazione” di San Pietro.

Sempre nel 1516 Lutero iniziò le lezioni sull’Epistola ai Galati, e visitò le comunità dell’ordine agostiniano di Dresda, Neustadt, Orla, Erfurt, Gotha, Langensalza e Nordhausen.

Nel 1517 il principe Alberto di Brandeburgo, ora anche arcivescovo di Magonza, incaricò il monaco domenicano Johann Tetzel di predicare le indulgenze nei suoi domini. Tale predicazione era accompagnata da stravaganti asserzioni, di cui Lutero ne cita una alla tesi n° 27: “come il soldino nella cassa risuona, ecco che un’anima il purgatorio abbandona“.

Il portale della cattedrale di Wittenberg, dove Lutero affisse le sue tesi

Il principe Federico e il suo confinante, il duca Giorgio di Sassonia “il Barbuto”, vietarono a Tetzel l’ingresso nelle loro terre, soprattutto per difendere i propri interessi dalla concorrenza del frate, dato che entrambi godevano dell’autorizzazione papale per la vendita delle indulgenze nei rispettivi territori. Tuttavia, quando il monaco domenicano giunse a Jüteborg (Brandeburgo) nelle vicinanze di Wittenberg, i parrocchiani di Lutero si misero in viaggio per acquistarle. Di conseguenza, al momento della confessione, i fedeli presentavano la pergamena benedetta sostenendo che non dovevano più pentirsi dei loro peccati poiché il documento sanciva la remissione plenaria delle pene.

Lutero giudicò la predicazione di Tetzel assurda sotto ogni punto di vista e decise di contrastarla per iscritto. Vuole la tradizione che il 31 ottobre 1517 Lutero o i suoi studenti abbiano affisso sulla porta della chiesa di Wittenberg, com’era uso a quel tempo, 95 tesi in latino riguardanti il valore e l’efficacia delle indulgenze. Il testo era indirizzato proprio all’arcivescovo Alberto, a cui Lutero intendeva mostrare il pessimo comportamento del suo incaricato Tetzel.

Lo scontro con le alte gerarchie ecclesiastiche fu inevitabile. La fama del monaco ribelle si diffuse in tutta la Sassonia elettorale: teologi, semplici religiosi, artigiani, studenti, il principe elettore e la sua corte. Due elementi, più di ogni altra cosa, contribuirono a questo rapido successo: l’interesse generale che suscitava questa disputa, giacché trattava tematiche molto vicine alle esigenze materiali e spirituali della popolazione; in secondo luogo la stampa a caratteri mobili, che consentì la stesura e la diffusione in migliaia di copie delle tesi luterane e dei successivi scritti.[6]

Nel 2004 è stato trovato il water su cui Lutero scrisse le sue 95 tesi, un sedile di pietra di 30 cm collocato in una spoglia nicchia nel muro della sua casa. Il monaco pare infatti soffrisse di costipazione cronica e quindi passasse molte delle sue ore più costruttive al gabinetto.[7][8]

Il confronto con il papato  [modifica]

L’imperatore Massimiliano I

Nel gennaio del 1518 giunse a Roma l’annuncio della discussione proposta da Lutero con le sue tesi. Papa Leone X ordinò la trasmissione dell’incartamento al generale vicario dell’ordine degli agostiniani con l’annotazione di tenere tranquillo Lutero. All’inizio la curia romana pensava si trattasse di una delle solite dispute fratesche e non attribuì eccessiva importanza alla contestazione di Lutero.

Johann Tetzel attaccò duramente il Sermone sull’indulgenza e la grazia scritto in tedesco dal teologo di Wittenberg, ma il sermone ebbe subito un notevole successo con ben ventuno ristampe prima del 1520. Il popolo prestò ascolto alla nuova teologia scritta in lingua volgare che si diffuse con rapidità sorprendente.

Nell’aprile del 1518 Lutero fu citato a comparire davanti al capitolo dell’ordine agostiniano ad Heidelberg, ma la cosa si risolse in un nulla di fatto, giacché la rivalità con i domenicani, sostenitori del loro confratello Tetzel, non invogliò i superiori di Lutero a ridurlo in silenzio.

Contemporaneamente egli dava alle stampe le Risoluzioni riguardo alle 95 tesi, un testo in cui le affermazioni del ’17 venivano ridiscusse in modo più articolato attraverso citazioni e riferimenti alla Sacra Scrittura.

Le Risoluzioni furono inviate a Roma per essere esaminate da papa Leone X, il quale questa volta autorizzò l’apertura di un processo nei confronti del monaco ribelle. Lutero ebbe sessanta giorni di tempo per presentarsi a Roma e contestare l’accusa di aver diffuso idee erronee. Tuttavia la paura fondata di essere arrestato e condannato senza alcuna possibilità di spiegare le proprie ragioni spinse Lutero a rivolgersi al principe Federico per ottenere garanzie e protezione. Fu quindi deciso di spostare il processo in Germania, ad Augusta (Augsburg), dove in quel periodo si sarebbe tenuta la dieta imperiale. Lutero sarebbe stato ricevuto dal legato pontificio il cardinale Tommaso De Vio detto il “Caetano”. Onde tutelare l’incolumità di Lutero, il principe Federico ottenne un salvacondotto dall’imperatore Massimiliano I che ne garantiva l’intoccabilità fino al ritorno a Wittenberg. Il colloquio si svolse a metà ottobre. Il cardinal Caetano cercò di ottenere da Lutero una pubblica e completa ritrattazione, ma poiché egli non si considerava un eretico, rifiutò la richiesta del legato invocando la protezione del papa contro i calunniatori e i nemici.

Va detto, infatti, che fino a quel momento Lutero non aveva mai auspicato una frattura del mondo cristiano e tutti gli scritti di quel periodo dimostrano un chiaro intento di riformare dall’interno la dottrina della Chiesa, che ai suoi occhi aveva smarrito la missione assegnatale da Cristo. Non deve quindi stupire il suo appello al papa, come non deve stupire il fatto che tale appello venne rifiutato e le tesi di Lutero respinte dal Caetano.

Leone X e Federico il Saggio  [modifica]

Federico il Saggio di Lucas Cranach il vecchio 1532

Nel gennaio del 1518, alcuni mesi dopo il ritorno di Lutero a Wittenberg, si verificò un importante fatto politico, che avrebbe concesso al monaco ribelle un breve periodo di tranquillità: la morte dell’imperatore Massimiliano. Per molti anni l’imperatore era stato un buon alleato della Chiesa di Roma, e il suo improvviso decesso costrinse Leone X a cercare un candidato da appoggiare alla dieta dei grandi elettori dell’impero. La scelta non era semplice giacché si erano candidati sia il re di Francia Francesco I che il re di Spagna Carlo d’Asburgo (futuro vincitore di questa contesa che salirà al trono col nome di Carlo V), e chiunque dei due fosse stato il vincitore, per la Chiesa ciò avrebbe significato un enorme rischio (come poi effettivamente sarà) per i propri domini in Italia e quindi per l’autonomia del papato.

La scelta più conveniente era dunque quella di sostenere un candidato tedesco e Leone X propose Federico il Saggio, il quale temporeggiò per un breve periodo fino a rifiutare la candidatura offertagli, costringendo il papa ad accettare l’elezione di Carlo – preferito agli altri candidati anche per l’oro dei Fugger che convinse i principi elettori – che avvenne il 28 giugno 1519 a Francoforte. Tuttavia il nuovo imperatore non poté essere consacrato prima dell’autunno del 1520, nel mentre Federico di Sassonia, come ex aspirante al titolo imperiale, restava la figura di maggior prestigio in Germania. In conseguenza di questi eventi la Chiesa non procedette contro Lutero per un altro anno e mezzo.

Il confronto con gli intellettuali  [modifica]

In questo periodo di relativa calma Lutero radicalizzò sempre più le proprie opinioni sostenendo che l’unica fonte di verità fosse la Sacra Scrittura, e non i papi o i concili che a più riprese si erano contraddetti nel corso dei secoli.

Filippo Melantone

Contemporaneamente la sua fama continuò a crescere e ad attirare molti curiosi a Wittenberg; tra questi spiccava la figura di Filippo Melantone, che a soli ventuno anni era già uno studioso affermato della lingua greca. Diversamente da Lutero, che era stato un monaco agostiniano e aveva ricevuto l’ordine sacro, Melantone era un laico. Differente da Lutero anche come carattere, Melantone era un umanista di indole pacifica, alla ricerca di soluzioni equilibrate ai problemi che sconvolgevano la vita religiosa europea del tempo.

Di opinioni del tutto contrarie era invece un altro intellettuale che aderì al movimento riformatore: Andrea Carlostadio. Più anziano di Lutero (fu lui a conferirgli il dottorato) era aperto sostenitore della ribellione armata contro la nobiltà e il clero tedeschi, cosa che infine causerà la rottura tra i due e l’allontanamento forzato di Carlostadio dalla Sassonia elettorale.

Le tensioni tra gli intellettuali favorevoli o contrari alle tesi luterane erano giunte a un punto tale che pochi avrebbero potuto sottrarsi al nascente dibattito e non certamente l’umanista Erasmo da Rotterdam che era proprio al culmine della propria fama letteraria. Il doversi per forza schierare e la partigianeria erano contrarie sia al suo carattere sia ai suoi costumi. Nelle sue critiche alle follie clericali e agli abusi della Chiesa egli aveva sempre protestato di non volere attaccare la Chiesa come istituzione e di non essere mosso da inimicizia nei confronti del clero.

Erasmo condivideva, in effetti, molti punti della critica luterana alla Chiesa cattolica. Egli aveva il massimo rispetto per Martin Lutero e, rispettivamente, il riformatore manifestò sempre ammirazione per la superiore cultura di Erasmo. Lutero sperava di potere collaborare con Erasmo in un’opera che gli sembrava la continuazione della propria.

Erasmus dipinto da Hans Holbein il Giovane

Erasmo, invece, declinò l’invito ad impegnarsi, affermando che se egli avesse accettato, avrebbe messo in pericolo la propria posizione di guida di un movimento puramente intellettuale, che egli riteneva essere lo scopo della propria vita. Soltanto da una posizione neutrale – riteneva Erasmo – si poteva influenzare la riforma della religione. Erasmo rifiutò dunque di cambiare confessione, ritenendo che vi fossero possibilità di una riforma anche nell’ambito delle strutture esistenti della Chiesa cattolica.

A Lutero tale scelta parve un mero rifiuto ad assumersi le proprie responsabilità, motivato da mancanza di fermezza o, peggio, da codardia.

Nonostante la parziale tranquillità di cui godeva in quel momento il gruppo riformatore, il papato non abbandonò completamente la questione. Verso la fine del 1518 (quindi già prima della morte dell’imperatore Massimiliano) fu inviato a Wittenberg il giovane nobile sassone Karl von Miltitz, parente del principe Federico, con l’incarico di convincere Lutero a rinunciare alla polemica pubblica, in cambio del silenzio degli avversari di Lutero in Germania, garantito dal papato.

Il monaco riformatore accettò e promise di pubblicare uno scritto per invitare tutti a rimanere obbedienti e sottomessi alla Chiesa cattolica; questo testo fu intitolato Istruzione su alcune dottrine (1519).

A fare le spese di questo accordo fu il predicatore domenicano Tetzel, accusato da von Miltitz di condurre una vita dispendiosa e di avere due figli illegittimi, costringendolo a ritirarsi permanentemente in convento dove morì di crepacuore poco tempo dopo.

La tregua formale non durò che qualche mese giacché le altre università cattoliche della Germania continuarono ad attaccare l’opera di Lutero e dei suoi seguaci, i quali replicavano per iscritto o partecipando a dispute teologiche in luoghi prestabiliti. Il più noto di questi confronti accademici fu quello svoltosi a Lipsia nel febbraio del 1519 tra Lutero, Carlostadio e un professore proveniente da Ingolstadt, Johann Eck. L’importanza di questo dibattito risiede nell’ammissione che compì Lutero di condividere alcuni punti della dottrina hussita. Ciò fornì al papato il capo di imputazione necessario per la condanna di Lutero giacché cento anni prima il Concilio di Costanza aveva giudicato le proposizioni hussite come eretiche.[9]

Tornato a Wittenberg, Lutero si rese conto del pericolo che stava correndo e cercò di spiegare meglio la sua posizione con un opuscolo, le Resolutiones Lutherianae super propositionibus suis Lipsiae disputatis, ma non sortì alcun effetto.

I principi contro l’Impero  [modifica]

Nel gennaio del 1520 si riunì a Roma il primo concistoro contro Lutero, ed in giugno fu emanata la bolla Exsurge Domine che intimava a Lutero di ritrattare ufficialmente le sue posizioni o di comparire a Roma per fare altrettanto, pena la scomunica.

Carlo V

Nell’agosto dello stesso anno Lutero replicò pubblicando la lunga lettera An den christlichen Adel deutscher Nation von des christlichen Standes Besserung (Alla nobiltà cristiana di nazione tedesca: del miglioramento dello Stato cristiano), con la quale invitò i nobili, i capi, i tutori della Germania alla lotta contro la Chiesa di Roma contestando l’infallibilità del papa (che all’epoca non era ancora un dogma di fede ma una tradizione ben consolidata), il monachesimo e il celibato clericale, e in cui nuovamente stigmatizza i mali di Roma e confessa di aver voluto «assalire violentissimamente il papa, come l’Anticristo». A questo scritto seguì, in ottobre, il trattato teologico De captivitate babylonica ecclesiae praeludium (Preludio alla cattività babilonese della chiesa), nel quale Lutero passa in rassegna i sette sacramenti, accettandone soltanto tre: battesimo, eucarestia e penitenza (ossia la confessione), ma tutti, soprattutto l’ultimo, in forma molto relativizzata (vedi luteranesimo). Ancora nel 1520 Lutero pubblicò un trattato destinato ad avere grande importanza nel pensiero politico dei secoli a venire: Von Freiheit eines Christenmenschen (Della libertà del cristiano), in cui egli stabilisce una ferma scissione tra la vita spirituale, completamente libera, e quella corporale, soggetta all’amore per il prossimo e quindi vincolata.

La situazione era ormai irreversibile, in molte città della Germania i testi di Lutero venivano arsi nelle piazze, mentre in altre aree dell’Impero si alimentavano focolai di rivolta. A questi fatti si aggiungevano i nuovi propositi di alcuni principi tedeschi i quali, accogliendo le teorie riformatrici di Lutero, non erano disposti a vedere condannata e dispersa la sua opera; tra essi vi era anche Federico il Saggio.

Nel novembre 1520 il nuovo imperatore Carlo V d’Asburgo pretese dall’elettore di Sassonia che Lutero comparisse dinanzi alla dieta imperiale a Worms. Il 10 dicembre dello stesso anno Lutero fa bruciare nella piazza di Wittenberg i testi del diritto canonico, la bolla papale e alcuni scritti dei suoi avversari.

La scomunica e la rottura con Roma  [modifica]

Lutero a Worms

Il 3 gennaio 1521 con la bolla Decet Romanum Pontificem, Leone X scomunicava Martin Lutero, l’accusa era di eresia hussita. Il principe Federico ottenne che a Lutero non fosse fatto alcun male a Worms e che gli si consentisse di esporre le sue ragioni. Lutero aveva già spregiativamente bruciato in pubblico la bolla papale Exurge Domine (15 giugno 1520) con la quale era stato minacciato di scomunica se non avesse desistito dal proprio intento (in suo pravo et damnato proposito obstinatum).

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Carlo V e Lutero.

Il 16 aprile Lutero giunse alla dieta [10] salutato festosamente dalla popolazione. Nel corso dei successivi due giorni il monaco riformatore spiegò i contenuti dei suoi scritti all’assemblea composta dall’imperatore e dai principi, compresi alcuni delegati papali. Ciononostante gli fu imposto di abiurare ma Lutero rifiutò e Carlo V lo condannò come nemico della cristianità tedesca ed eretico.

Il salvacondotto imperiale che il principe Federico aveva ottenuto per il suo protetto impedì l’immediato arresto di Lutero a Worms. Per salvarlo dalla condanna che ormai era stata emessa, il principe organizzò un falso rapimento di Lutero allo scopo di tenerlo nascosto nel castello di Wartburg, ad Eisenach, dove rimase per dieci mesi, nel corso dei quali si dedicò alla sua più importante opera: la traduzione tedesca del nuovo testamento, partendo dal testo greco redatto pochi anni prima da Erasmo da Rotterdam. Pubblicata anonima nel settembre 1522, divenne nota come il “Nuovo Testamento di Settembre”. Costava un fiorino e mezzo, pari al salario di un anno di una domestica. Comunque andò a ruba. In dodici mesi se ne stamparono 6.000 copie in due edizioni, e almeno altre 69 edizioni seguirono nei successivi 12 anni.

Con Lutero assente, la responsabilità di portare avanti il movimento riformatore ricadde su Melantone e Carlostadio mentre sia a Wittenberg che in altri luoghi della Germania iniziarono a scoppiare disordini e si riscontravano comportamenti contrari alla dottrina cattolica da parte dei sacerdoti.

L’8 maggio 1521 Carlo V proclamò l’editto di Worms, con il quale le tesi luterane venivano ufficialmente condannate e perseguite in tutti i territori dell’impero. Lutero era considerato un fuorilegge e un nemico pubblico, chiunque poteva ucciderlo impunemente, sicuro dell’approvazione delle autorità. La situazione di Lutero si fece estremamente pericolosa e c’era chi temeva, e chi sperava, che l’intera vicenda si concludesse, come tante altre volte in passato, col rogo.

Il 1º dicembre 1521 era intanto morto papa Leone X.

Nel marzo 1522 Lutero rientrò a Wittenberg. La prima edizione del Nuovo Testamento fu pubblicata in quell’anno.

Le rivolte dei cavalieri e dei contadini  [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Guerra dei contadini.

Thomas Müntzer

Sempre il 1522 e i seguenti furono degli anni particolarmente sanguinari, che impressero al movimento riformatore prima una svolta in senso rivoluzionario, e poi in senso reazionario: Thomas Müntzer, un teologo allievo di Lutero che aveva aderito alle tesi riformatrici, fu protagonista di un aperto scontro con Lutero che lo portò ad abbandonare la causa moderata per mettersi alla testa di una delle numerose bande armate che si stavano formando con l’intento di affermare con la forza un nuovo ordine cristiano basato sull’eguaglianza di tutti gli uomini.

Contemporaneamente un gruppo di cavalieri, ossia la piccola nobiltà guerriera erede delle antiche tradizioni della cavalleria medievale, guidati da Franz von Sickingen ed Ulrich von Hutten attaccarono le terre dell’elettorato di Treviri, allo scopo di veder ripristinate, assieme agli antichi valori del cristianesimo delle origini, anche le loro prerogative, messe in ombra dai nascenti eserciti moderni composti in prevalenza da mercenari. E fu proprio l’esercito mercenario dell’arcivescovo di Treviri nello stesso anno a sconfiggere e disperdere i cavalieri.

I cavalieri si battevano anche per partecipare all’espropriazione delle terre della Chiesa di Roma ed ottenere un feudo da cui come cadetti [11] erano rimasti esclusi.

Zone della rivolta

La situazione rimase tale per alcuni anni, nei quali la riforma protestante andò diffondendosi oltre i territori dell’impero mentre Lutero continuava la sua opera teologica pubblicando nuovi scritti che invocavano la pace e la separazione delle faccende temporali da quelle spirituali, in conformità con le teorie agostiniane che Lutero non rinnegò mai e da cui, anzi, aveva tratto la dottrina della predestinazione.

Nel maggio del 1524 le insurrezioni contadine divennero una vera e propria ribellione che si diffuse in tutta la Germania meridionale e centrale e che successivamente prese il nome di guerra dei contadini. I contadini svevi avevano accolto il messaggio religioso luterano come un proclama politico di uguaglianza e liberazione. Nei loro “Dodici articoli”, il manifesto del loro movimento di ribellione, essi chiedevano una fiscalità meno oppressiva, l’abolizione del privilegio che permetteva ai nobili tedeschi di attraversare i seminati o i campi pronti al raccolto per inseguire la selvaggina, e la restituzione delle terre destinate agli usi comuni dei loro villaggi e che i principi avevano invece inglobate nei possessi espropriati alla Chiesa romana.

Nell’aprile del 1525 Lutero pubblicò l’Esortazione alla pace a proposito dei dodici articoli dei contadini di Svevia. In questo scritto, con cui dimostrava di aver scelto ormai definitivamente l’alleanza coi signori feudali, egli prendeva le distanze da quel movimento esortando i principi tedeschi alla soppressione delle “bande brigantesche ed assassine dei contadini”:[12]

« Ritengo che sia meglio uccidere dei contadini che i principi e i magistrati, poiché i contadini prendono la spada senza l’autorità divina. […] Il momento è talmente eccezionale che un principe può, spargendo sangue, guadagnarsi il cielo. Perciò cari signori sterminate, scannate, strangolate, e chi ha potere lo usi. »

È Dio che ha concesso la spada ai prìncipi: se essi eserciteranno male il loro potere sarà la giustizia divina a punirli, ma intanto bisogna obbedire loro.

Fu un gesto importante e dalle terribili conseguenze (le fonti dell’epoca parlano di 100.000 morti); con esso Lutero aveva garantito la sopravvivenza della Riforma ponendola al riparo dalle posizioni estremiste e garantendole la protezione di un buon numero di prìncipi tedeschi.

Hanns Lilje, vescovo luterano di Hannover, osservò che questa risposta costò a Lutero «la perdita della straordinaria popolarità di cui aveva goduto fino a quel momento tra la gente».

Sempre per la necessità di proteggere la sua Riforma, Lutero, che pure aveva proclamato l’inutilità della Chiesa come mediatrice e il principio che ognuno poteva essere “il sacerdote di se stesso”, acconsentì alla formazione delle Landeskirchen, delle Chiese territoriali tedesche con le quali i principi potranno esercitare la loro autorità anche sulle faccende religiose.

La nascita e il consolidamento della nuova Chiesa  [modifica]

Katharina von Bora

Il 15 maggio 1525 gli ultimi insorti della guerra dei contadini, guidati da Thomas Müntzer, furono annientati a Frankenhausen dal langravio Filippo I di Assia. Müntzer venne ucciso. Dieci giorni prima era morto Federico il Saggio, cui era succeduto il fratello Giovanni.

Nello stesso anno Lutero decise di abbandonare la vita pubblica e la veste religiosa. In giugno sposa Katharina von Bora [13], una monaca che aveva dismesso l’abito in conseguenza della riforma. Fu un gesto di grande importanza che contribuiva alla formazione della nuova teologia luterana. I due ebbero sei figli e la loro casa fu uno dei principali centri irradiatori delle idee riformatrici (basti pensare ai 6596 paragrafi dei Discorsi conviviali tenuti da Lutero nella sua casa e accuratamente registrati dai suoi allievi).

Sempre nel 1525 vengono pubblicati La Messa tedesca e Del servo arbitrio, quest’ultimo in risposta a uno scritto di Erasmo, Del libero arbitrio, pubblicato l’anno precedente, nel quale il grande umanista olandese invitava il monaco ribelle a ritornare sui propri passi riesaminando le concezioni espresse sul rapporto tra l’uomo e il suo destino. La conseguenza fu la definitiva rottura tra i due intellettuali.

Respingendo le nuove idee dell’umanesimo sulla centralità dell’uomo, Lutero manifestava un modo di pensare tutto improntato alla mistica medioevale e alla teologia paolina e agostiniana.

La Dieta di Augusta del 1530

Gli anni che vanno dal 1525 al 1530 videro Lutero, ma soprattutto i suoi seguaci, impegnati nel duplice obiettivo sia di consolidare la dottrina riformata, contrastando le repliche e i contrattacchi della Chiesa romana, sia di proteggerla da possibili derive estremiste.

Oltre a pubblicare libri Lutero compose diversi inni per la nuova liturgia riformata. Il più celebre è Ein’ feste Burg ist unser Gott composto fra il 1527 e il 1529 e tradotto in numerose lingue tra cui in italiano (Forte rocca è il nostro Dio).

Zwingli

Bibbia di Lutero del 1534

Nel 1529 condusse con Melantone i Colloqui di Marburgo, importante confronto con l’altro grande riformista Ulrico Zwingli sui temi principali dei rispettivi sistemi teologici, che però si arenò di fronte al problema dell’Eucaristia, sul cui significato le divergenze erano significative. Zwingli morì quindi nel 1531, durante la battaglia di Kappel, contro i cantoni cattolici svizzeri.

Nel giugno 1530 venne presentata la Confessione Augustana che rappresenta la definitiva sistemazione dottrinale del luteranesimo. È la prima esposizione ufficiale dei princìpi del Protestantesimo che sarà poi detto luterano, redatta da Filippo Melantone per essere presentata alla Dieta di Augusta alla presenza di Carlo V.[14]

Nel febbraio del 1531 venne conclusa tra i nobili e le città protestanti la Lega di Smalcalda. Nello stesso anno il monaco riformatore pubblicò l’Avvertimento del dottor M. Lutero ai suoi cari Tedeschi. Nel 1534 uscì la Bibbia completamente tradotta in tedesco da Lutero. Intanto veniva eletto papa Alessandro Farnese, con il nome di Paolo III. Gli anabattisti presero il potere a Münster in Westfalia, ma nel giugno del 1535 la città fu riconquistata dal vescovo Francesco di Waldeck con l’aiuto di Filippo d’Assia.

Lutero dettò le linee generali per l’organizzazione della Chiesa evangelica della Sassonia, fornendo il modello fondamentale alle altre chiese luterane.

Negli ultimi anni della sua vita Lutero approfondì la distanza dal cattolicesimo con lo scritto del 1537 Gli Articoli di Smalcalda, difese la propria dottrina sulla presenza di Cristo nell’Eucarestia nell’opera Breve confessione intorno al Santissimo Sacramento (1544) ed espresse una condanna violenta e definitiva del cattolicesimo con l’operetta polemica Contro il papato istituito a Roma dal diavolo (1544).

Altri scritti di Lutero contro gli ebrei che rifiutavano di convertirsi al cristianesimo, in particolare Degli ebrei e delle loro menzogne (Von den Juden und ihren Lügen) nel quale si espresse con toni acerrimi, hanno indotto molti a tacciarlo di antisemitismo.

Oltre a ciò, nel 1541 aveva autorizzato una nuova traduzione in lingua latina del Corano a cura di Theodor Bibliander[15], che doveva essere indirizzata, come spiegava Lutero nell’introduzione, “a gloria di Gesù, al bene dei cristiani, a danno dei turchi, a irritazione del demonio”[16].

Lutero manifestò un forte disprezzo anche per ogni forma di commercio, da lui giudicato “uno sporco affare”, e condannò l’interesse come usura. Il suo sogno sarebbe stato di perpetuare la società rurale in cui era nato, per questo egli si considerava più un restauratore che un innovatore.

Tali eccessi reazionari si erano fatti sempre più marcati man mano che invecchiava. Lo studioso Roland Bainton, pur essendo un suo devoto biografo, riconosce come Lutero fosse diventato «un vecchiaccio irascibile, petulante, maldicente, e talvolta addirittura scurrile».[17] In confronto a Melantone, sempre sottile e pacato nei giudizi, tanto rozzo e vendicativo apparve divenuto Lutero, al punto da scadere spesso nel turpiloquio. Aveva anche preso a mangiare e bere smisuratamente, vuotando in più occasioni interi boccali di birra.

La sua salute intanto si era andata deteriorando progressivamente fino a che si ammalò gravemente di ulcera. Quando, il 18 febbraio 1546 a Eisleben, Lutero era sul letto di morte, gli amici gli chiesero se era ancora convinto di ciò che aveva insegnato. Rispose: «Sì», e poco dopo spirò[senza fonte].

Il contributo di Lutero  [modifica]

Statua di Martin Lutero a Dresda, Germania

La Riforma, promossa da uomini come Lutero e poi Giovanni Calvino e Zwingli, determinò la formazione di un nuovo movimento religioso nell’Europa Occidentale detto protestantesimo. Il maggiore contributo di Lutero fu il suo insegnamento principale: la giustificazione per fede. Nel giro di poco tempo ciascun principato tedesco si schierò per la fede protestante o per quella cattolica. Il protestantesimo si diffuse e ottenne larghi consensi in Scandinavia, Svizzera, Inghilterra e Paesi Bassi. Ancora oggi centinaia di milioni di persone, in tutto il mondo, si professano aderenti a questi insegnamenti. In un testo scritto dal professor Kurt Aland si legge: “Ogni anno escono almeno 500 nuove pubblicazioni su Martin Lutero e la Riforma in quasi tutte le maggiori lingue del mondo”.

Il contributo di Lutero nell’inaugurare un nuovo modo di vivere il cristianesimo, che consisteva nell’indipendenza dalla Chiesa e nella conseguente rottura dell’unità dei cristiani a Occidente, fu senz’altro notevole; egli stesso con le sue esitazioni mostrava di rendersi conto della responsabilità enorme che si assumeva. La sua focosa devozione religiosa, tuttavia, unita alla sua indifferenza ad ogni ambizione di carriera, dimostrano che non era mosso da interessi personali: il suo vero desiderio era quello di ricondurre la Chiesa alla religiosità delle origini. La sua opera fu inoltre fondamentale per aver contribuito a formare la lingua tedesca. Si può dire che Lutero fu per la Germania ciò che Dante era stato per l’Italia.

Passati i primi secoli immediatamente successivi alla Riforma, dopo essere stato giudicato assai negativamente, la sua figura è stata in parte rivalutata anche in alcuni ambiti cattolici, almeno per quanto riguarda la tempra intellettuale del primo Lutero.[18]

Controversie sulla sua vocazione e sulla sua morte  [modifica]

Sono ancora contrastanti i giudizi emessi dagli storici sulla conversione di Lutero. La tradizione vuole (e lo stesso Lutero nei suoi discorsi autobiografici sembra confermarlo) che a causa del forte spavento causatogli da un fulmine durante un temporale egli abbia fatto voto di prendere l’abito sacerdotale. Ad ogni modo si trattava certamente di un uomo inquieto, la cui religiosità era fortemente improntata ad una concezione di Dio come giudice terribile e vendicatore[19]. In base a ciò che egli stesso racconta, da giovane fu indotto a meditare sull’ira divina a causa della morte prematura di un compagno di studi. Secondo i critici, quindi, l’ansia e la paura costituirono un importante elemento nelle scelte di Lutero, e forse fecero maturare nella sua mente la scelta improvvisa di entrare nel convento agostiniano di Erfurt.

Vi sono inoltre alcune dicerie, protestanti e cattoliche, su un presunto suicidio di Lutero. Il suo servo personale, Ambrogio Kuntzell (o Kudtfeld) avrebbe visto Lutero impiccarsi, almeno secondo un racconto pubblicato ad Aversa nel 1606, dallo scienziato Sédulius. Il dottor de Coster, subito accorso, avrebbe constatato che la bocca di Lutero era contorta, che la parte destra del suo viso era nera e che il collo era rosso e deforme, come se fosse stato appunto strangolato. Questa sua diagnosi sarebbe riportata su un’incisione che Lucas Fortnagel fece subito il giorno dopo la morte di Lutero, e che fu pubblicata da Jacques Maritain nella sua opera: Tre riformatori a pagina 49 (dell’edizione francese). Anche l’Oratoriano Th. Bozio, nel suo De Signis Ecclesiae del 1592, scrive che apprese da un domestico di Lutero che il suo padrone fu trovato impiccato alle colonne del suo letto. Il dott. G. Claudin, nella Cronaca Medica (1900, p. 99) ha pubblicato il testo di quella presunta “deposizione” del domestico.

Tali dicerie sul suo suicidio furono diffuse vent’anni dopo la sua morte.

Secondo una pubblicazione vicina all’ortodossia vaticana,[20], “molto probabilmente Lutero morì per una sua vecchia malattia di cuore”; malattia della quale però non si hanno altre notizie.

Note  [modifica]

  1. ^ http://www.bedbreakfastroma.it/articoli/porta-del-popolo.html
  2. ^ A quanto si racconta Lutero rimase sorpreso dall’affissione delle tesi sul portone della cattedrale di Wittenberg ad opera dei suoi studenti
  3. ^ Norman O. Brown sottolinea con attenzione la non casualità del luogo escrementizio: «La psicoanalisi (…) non può non trovare significativo il fatto che l’esperienza religiosa che inaugurò la teologia protestante abbia avuto luogo al gabinetto», da Life Against Death: The Psychoanalytic Meaning of History 1959
  4. ^ Diversamente da Lutero, Calvino riterrà che il fedele che, tramite il lavoro, ottiene successo e benessere, possa supporre di essere predestinato alla salvezza. Questi, cioè, saranno in qualche modo segni della grazia di Dio.
  5. ^ Secondo la dottrina della Chiesa l’indulgenza non serve per ottenere la grazia e quindi la salvezza, ma per la riduzione delle pene da scontare in Purgatorio per i peccati commessi. L’indulgenza viene concessa a chi, confessato, pentito e comunicato, compie delle “buone opere”, penitenze, rinunce, ecc. per ottenere il perdono divino. L’indulgenza, che può comportare la remissione totale o parziale delle pene, era emanata in occasione di particolari eventi di importanza spirituale,pellegrinaggi o ad esempio: le crociate; chi vi partecipava otteneva l’indulgenza plenaria, la remissione totale delle pene. Chi non poteva partecipare alle crociate sostituiva con le “buone opere”: generalmente con il pagamento di somme in denaro o con la donazione di altri beni, ottenendo così anche lui di lucrare l’indulgenza. Predicando contro le indulgenze Lutero quindi contestava la validità delle “buone opere” per ottenere la remissione delle pene e la salvezza.
  6. ^ La stampa fu uno dei motivi della rapida diffusione del luteranesimo. Non a caso la Controriforma cattolica sotto Paolo IV, introdusse uno strumento di controllo delle opere a stampa come l’Indice istituito nel 1559 per opera della Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione (o Sant’Uffizio).
  7. ^ Fonte: Corriere della Sera del 23 ottobre 2004. URL consultato il 26-05-2008.
  8. ^ Fonte: BBC News del 22 ottobre 2004. URL consultato il 31-05-2011.
  9. ^ Leone X, Decet Romanum pontificem.
  10. ^Lutero a Worms:
    Il consiglio della città di Wittemberg gli assegnò una carretta coperta a quattro ruote e due cavalli. Delle spese di viaggio se ne incaricò l’Università. Per compagnia e protezione insieme a Lutero viaggiavano un collega, Nicolò Amsdorf, un confratello e uno studente pomerano.
    La carretta era preceduta da un araldo a cavallo con le insegne imperiali e quando arrivarono ai confini della città di Erfurt lo stesso rettore con un corteo di cavalieri accolse l’ex studente dell’Università con tutti gli onori. Lutero tenne una predica a cui era accorsa così gran folla che la galleria cominciò a scricchiolare pericolosamente ed egli allora per scongiurare il panico disse scherzando:«Riconosco le tue astuzie o Satana». Un giovane teologo volle scortare la carrozza a cavallo e così quando Lutero arrivò a Worms più di cento cavalieri gli facevano scorta d’onore. Ma intanto il diavolo ci stava mettendo la coda: a Gotha, mentre celebrava la messa, alcune pietre caddero dal tetto della chiesa e, presagio ancora peggiore, gli giunse la notizia che l’imperatore aveva ordinato che gli scritti dell’eretico professore fossero consegnati da chiunque li possedesse per essere distrutti. Poi si ammalò, ma con un salasso e una medicina poté riprendere il viaggio. A Francoforte pare che Lutero gradisse molto il vino di malvasia; suonò il liuto e cantò in allegria con i suoi compagni.
    Giunto a Worms la folla era tanta che era salita sui tetti per vederlo. Il giorno dopo per recarsi alla dieta vi dovette andare per vicoli e vie traverse per sfuggire alla ressa nelle strade. Dopo aver aspettato ore ai piedi delle scale finalmente si trovò alla presenza di Carlo V, che lo scrutava impassibile e silenzioso, di tutti e sette i principi elettori ; tutti i banchi degli ordini imperiali erano stracolmi. Su un tavolo erano gettati alla rinfusa le opere di Lutero. Vi fu un momento di imbarazzo generale che fu superato da un consigliere di Federico che disse: «Intitulentur libri» («Si leggano i titoli»). Lutero a voce bassa e parlando in latino e tedesco, li riconobbe per suoi ma per l’eventuale ritrattazione voleva un po’ di tempo per riflettere. I membri della dieta si consigliarono e votarono. L’avvocato imperiale disse che Lutero non era degno di una proroga ma, per la buona disposizione dell’imperatore, gli si concedevano ventiquattr’ore. Carlo V lasciando la sala della dieta aveva detto al suo seguito: «Non sarà costui a farmi eretico».
    Il giorno dopo Lutero, ancora dopo una lunga attesa, dichiarava di parlare anche in nome della povera nazione tedesca oppressa e angariata dalla corruzione e dalla fiscalità della Chiesa. Quanto poi nei suoi libri riguardava la fede, egli non poteva certo ritrattare e neanche quelle opere che criticavano l’operato del papa egli poteva ripudiare, poiché era dovere di ogni buon cristiano rimproverare chi si allontanava dalla dottrina evangelica. Egli era invece pronto alla ritrattazione per gli scritti rivolti contro i suoi nemici, dove riconosceva di avere esagerato nella polemica, ma non per la dottrina. Aggiungeva che egli sapeva bene che dalla sua predicazione sarebbero potuti nascere disordini, ma anche Cristo aveva detto che non era venuto per metter pace. Concluse chiedendo la protezione dell’imperatore dai suoi nemici.
    L’avvocato imperiale gli contestò che quanto era scritto nei suoi libri era argomento di vecchie eresie ormai confutate e che non era possibile credere che la Chiesa fosse vissuta nell’errore sino all’arrivo di Lutero. Lutero si dichiarò pronto alla ritrattazione solo se lo avessero persuaso con scritti o con parole poiché egli non poteva andare contro la sua stessa coscienza. L’avvocato cesareo perse la pazienza: credeva il Martinus che la chiesa avesse sino ad allora errato? «Ebbene sì – rispose Lutero – ha sbagliato e per molti articoli; è chiaro come il sole e lo dimostrerò. Che Dio mi aiuti: sono pronto». A questo punto Carlo V disse di averne abbastanza e lasciò la dieta. Arrivato alla sua stanza d’albergo, racconta un testimone del tempo, Lutero “alzò le braccia in alto come fanno i vincitori nel torneo” esclamando: «Ce l’ho fatta!» («Ich bin hindurch»). (In Delio Cantimori, “Martin Lutero”, Discorsi a tavola, traduzione di L. Perini, Torino 1969)
    Il giorno dopo la Dieta venne informata delle decisioni dell’Imperatore: egli si dichiarava disposto a rispettare il salvacondotto che aveva concesso a Lutero e quindi gli concedeva d’allontanarsi; nel contempo però affermava di essere deciso ad «agire contro di lui come contro un eretico notorio» e chiedeva agli ordini che tenessero fede alla promessa che gli era stata fatta. cioè che avrebbero collaborato alla cattura del monaco qualora si fosse rifiutato di ritrattare.
  11. ^ La successione ereditaria del feudo (Diritto di maggiorasco) riservava la proprietà dell’intero patrimonio al primogenito. Ai figli minori, ai cadetti appunto, non rimaneva che conquistarsi un feudo al servizio di qualche principe.
  12. ^ A. Giardina – G. Sabatucci – V. Vidotto. Il Manuale dal 1350 al 1650, Bari, 2002; p. 224.
  13. ^ Della vita di Katharina von Bora rimangono pochissime testimonianze oltre agli scritti di Lutero stesso e di qualche contemporaneo. Tuttavia, ella fu un’importante protagonista della Riforma, in quanto ha contribuito alla creazione del modello di matrimonio del clero e di famiglia protestante.
  14. ^ A tutt’oggi la Confessio augustana è considerata uno dei testi base delle Chiese protestanti di tutto il mondo e fa parte del Liber Concordiae luterano.
  15. ^ Cromohs 2007 – Felici – L’Islam in Europa. L’edizione del Corano di Theodor Bibliander (1543)
  16. ^ Vittorio Messori, Ipotesi su Gesù, SEI Editrice, Torino 1976, p. 253.
  17. ^ Cit. in Montanelli & Gervaso, Storia d’Italia, vol. 14, L’età della riforma, pag. 110, Fabbri editori, 1994.
  18. ^ Il gesuita Courtnay Murray ad esempio disse di lui: «Era un genio, traboccante di retorica, ma anche pieno di illuminazioni» (cit. in Montanelli & Gervaso, op. cit., pag. 104).
  19. ^ Persino la psicanalisi si è interessata a Lutero. Secondo alcuni nel riformatore si riscontrano «eredità di alcolismo, amore anormale per sua madre, educazione in un clima di paura, tendenza alla malinconia, ossessioni sessuali (sublimate, è vero, con una potente attività intellettuale) sono gli elementi che spiegherebbero… perché e come Lutero è giunto a rifiutare il valore salvifico delle opere» (in E. H. Erikson, Il giovane Lutero. Studio storico-psicoanalitico, Roma 1967, p. 33). Sebbene alcuni storici abbiano osservato che tali interpretazioni sarebbero fondate su insufficienti e incerte testimonianze, l’immagine di un Lutero afflitto da gravi sofferenze psicologiche ha spesso avuto ampio credito presso la storiografia su di lui.
  20. ^ Fonte: Coggi Roberto, Dalla morte di Lutero alla pace di Augusta, in “Ripensando Lutero“, Edizioni Studio Domenicano, 2004, ISBN 88-7094-531-6

Opere  [modifica]

Opera omnia  [modifica]

  • Doctor Martin Luthers Sämmtliche Werke, Erlangen, 1826-1923. Comprende: a) Scritti tedeschi, 67 voll., a cura di Johann Georg PLOCHMANN e Johann Konrad JRMISCHER; b) Scritti latini, 38 voll.; c) Lettere, 18 voll., a cura di K. ENDERS, G. KAWERAU, P. FLEMING, O. ALBRECHT.
  • Doctor Martin Luthers Werke. Kritische Ausgabe, Böhlaus, Weimar, 1883 ss. Comprende più di 100 voll. in 4º. L’edizione si suddivide in quattro parti: a) Werke, b) Deutsche Bibel, c) Tischreden, d) Briefwechsel. È stata iniziata la ristampa fotomeccanica dei voll. 1-54 e di fascicoli supplementari di ogni volume con note di revisione e aggiunte. È uscito il vol. 33, contenente prediche su Giov. 6-8, e i primi fascicoli del vol. 55 con l’edizione completamente riveduta e corretta della Erste Psalmvorlesung 1513-15 (= voll. 3-4 della 1ª ed.).

Opere scelte  [modifica]

  • Martin Luthers Ausgewählte Werke, 8 voll. a cura di Hans Heinrich BORCHERDT, Georg Müller, München und Leipzig 1914-1925.
  • Luther Deutsch, 10 voll. a cura di Kurt ALAND, Klotz-Vandenhoeck, Stuttgart-Göttingen 1949-1969 (varie ristampe).
  • Luthers Werke in Auswahl, 8 voll. a cura di Otto CLEMEN, W. De Gruyter, Berlin 1962-67.
  • Calwer Luther-Ausgabe, 10 voll. a cura di Wolfgang METZGER, Mohn, Gütersloh 1977-82.
  • Martin Luther Studienausgabe, a cura di Hans-Ulrich DELIUS, 6 voll., Evangelischer Verlagsanstalt, Berlin 1979-1999.
  • Martin Luthers Briefe, Sendschreiben und Bedenken, 6 voll., Berlin, 1825 ss., a cura di DE WETTE e SEIDEMANN.
  • Disputationes Martin Luthers, a cura di Paul DREWS, Göttingen 1895.

Versioni italiane  [modifica]

Collana Opere scelte di Martin L ‘utero, diretta da Paolo RICCA. Sono finora usciti presso l’editrice Claudiana di Torino i seguenti volumi:

  • 1. Il Piccolo Catechismo – Il Grande Catechismo (1529), a cura di Fulvio FERRARIO, Torino 1998.
  • 2. Come si devono istituire i ministri della chiesa (1523), a cura di Silvana NITTI, Torino 1987.
  • 3. L’Anticristo. Replica ad Ambrogio Catarino sull’Anticristo (1521). Antitesi illustrata della vita di Cristo e dell’Anticristo (1521), a cura di Laura Ronchi De Michelis, Torino 1989.
  • 4. Scuola e cultura. Compiti delle autorità, doveri dei genitori (1524 e 1530), a cura di Maria Cristina LAURENZI, Torino 1990.
  • 5. Gli articoli di Smalcalda (1537-38) e Il primato e l’autorità del papa (1537) (di F. Melantone), a cura di Paolo RICCA, Torino 1992.
  • 6. Il servo arbitrio (1525), a cura di Fiorella DE MICHELIS PINTACUDA, Torino 1993.
  • 7. Messa, sacrificio e sacerdozio (1520, 1521 e 1533), a cura di Silvana NITTI, Torino 1990.
  • 8. Contro i profeti celesti sulle immagini e sul sacramento (1525), a cura di Alberto GALLAS, Torino 1999.
  • 9. I concili e le chiese (1539), a cura di Giuseppe FERRARI, Torino 2002.
  • 10. Sermoni e scritti sul battesimo (1519-1546), a cura di Gino CONTE, Torino 2004.
  • 11. Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, con testo originale a fronte, a cura di Paolo RICCA, Torino 2008.
  • 12. La cattività babilonese della Chiesa (1520), con testo originale a fronte, a cura di Fulvio FERRARIO e Giacomo QUARTINO, Torino 2006.
  • 13. La libertà del cristiano (1520). Lettera a Leone X, con in appendice la Bolla Exsurge Domine, con testo originale a fronte, a cura di Paolo RICCA, Torino 2005.
  • Della vita Christiana. Traduzione anonima del XVI secolo dello scritto Von der Freiheit eines Christenmenschen (= La libertà del cristiano). Stampa s.n.t. Una copia si trova alla Guicciardiniana di Firenze.
  • Catechismo piocciolo [sic!] di Martin Luthero, traduzione anonima, stampata a Tubinga nel 1562 e ristampata nel 1588 senza indicazione del luogo. Le biblioteche di Dresda, Königsberg e Wolfenbüttel conservano ciascuna una copia della 1ª ed.; della ristampa possiede una copia la Biblioteca Nazionale di Firenze. Di quest’ultima fece una nuova edizione EUGEN LESSING, Tipografia B. Coppini, Firenze 1942, in vendita presso la Casa Editrice Sansoni, Firenze.
  • Il piccolo catechismo del Dr. Martino Lutero, nuovamente tradotto da CARLO ROENNEKE, Roma 1883, Enrico Medicus Editore, Trieste 1900.
  • Martino Lutero secondo i suoi scritti. Scelta di scritti tradotti e presentati al popolo italiano, Tipografia Claudiana, Roma-Firenze 1883.
  • Il Pater nostro spiegato da un cristiano del secolo decimosesto. Traduzione libera dal tedesco, Claudiana, Firenze 1885.
  • Il piccolo catechismo del Dottor Martin Lutero. Coll’aggiunta di un manuale d’istruzione religiosa. Per uso delle chiese Evangeliche Luterane Italiane del Sinodo di Missouri, a cura di Andrea BONGARZONE [senza indicazione di editore né di luogo di edizione], 1927.
  • Poesie di Lutero, introdotte e tradotte da Giovanni NECCO, «Doxa», Roma 1927 (con testo tedesco a fronte).
  • Il servo arbitrio di Lutero contro Erasmo. Introduzione, traduzione, annotazioni di Giovanni Miegge, «Doxa», Roma 1930.
  • Libertà del cristiano di Martin Lutero, con epistola dedicatoria a Leone X, a cura di Giovanni Miegge, Doxa, Milano 1931. Ripubblicato più volte dalla Claudiana, Torino, 1970 (scaricabile liberamente a questo indirizzo).
  • Brani scelti, Bocca, Milano 1943. La raccolta comprende estratti dagli scritti seguenti: Il papato romano, La libertà del cristiano, Un sermone sul Vangelo (1522), Predica sul dovere di mandare i figli a scuola, Discorsi a tavola, Lettere e canti religiosi.
  • Lutero. Introduzione, scelta e versione a cura di Clementina DI SAN LAZZARO, Milano, 1948. Comprende parti degli scritti seguenti: Il Magnificat, La libertà del cristiano, L’autorità temporale e dei limiti dell’obbedienza, Prefazione dell’edizione wittemberghese delle opere in lingua tedesca, Epistola sul tradurre, Ai consiglieri di tutte le città tedesche, L’opera di Galeazzo Cappella, Prefazione al libro di Giuditta, Prefazione al libro di Tobia, Prefazione all’Esodo, Prefazione alla nuova versione tedesca del Salterio, Predica sul dovere di mandare i figli a scuola, Epistola sull’aspro opuscolo contro i contadini, Se anche le genti di guerra possono giungere alla beatitudine, Lettere, Discorsi a tavola, Canti religiosi.
  • Scritti politici, a cura di Giuseppina PANZIERI SAIJA, con introduzione di Luigi Firpo, UTET, Torino 1949. Comprende le opere seguenti: Il papato romano, Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, La cattività babilonese della Chiesa, La libertà del cristiano, L’autorità secolare, Testi sulla guerra dei contadini, Se anche le genti di guerra possono giungere alla beatitudine.
  • Canti religiosi di Martin Lutero in versione italiana si trovano in: Margherita FUERST-WULLE, Canti della Riforma, con musica, Centro Evangelico di Cultura, Roma 1951.
  • Il Padre Nostro spiegato ai semplici laici. Traduzione e note di Valdo VINAY, Claudiana, Torre Pellice 1957, Torino 1995.
  • Scritti religiosi, a cura di Valdo VINAY in collaborazione con Giovanni MIEGGE, Laterza, Bari 1958. Comprende le opere seguenti: Le tesi sulle indulgenze, Sermone sul santo e venerabile sacramento del battesimo, Sermone sul venerabile sacramento del santo vero corpo di Cristo e sulle confraternite, Le buone opere, Il Magnificat tradotto in tedesco e commentato, Una fedele esortazione a tutti i cristiani a guardarsi dai tumulti e dalle rivolte, Prediche sui Vangeli, Secondo la Scrittura, una assemblea o comunità cristiana ha diritto e la facoltà di giudicare ogni dottrina e di chiamare, insediare e destituire i dottori, Enchiridion. Il piccolo catechismo per pastori e predicatori indotti.
  • Il piccolo catechismo di Martin Lutero, a cura di Erich DAHLGRÜN, Herbert Reuner, Berlin 1959.
  • Erasmo da Rotterdam, Il libero arbitrio (testo integrale) – Martin LUTERO, Il servo arbitrio (passi scelti), a cura di Roberto JOUVENAL, Claudiana, Torino 1969. Terza edizione a cura di Fiorella DE MICHELIS PINTACUDA, 2004.
  • Scritti sull’educazione, a cura di Ferdinando VIDONI, Libr. ed. Canova, Treviso 1972.
  • Canti spirituali, a cura di Benno SCHARF, Morcelliana, Brescia 1982.
  • Dalla Parola alla vita. Scritti spirituali, a cura di Johannes HANSELMANN e Peter HELBICH, Città Nuova, Roma 1984.
  • Le 95 tesi, a cura di Sergio QUINZIO (trad. di Italo PIN), Studio Tesi, Pordenone 1984, (oltre alle Tesi del 1517 comprende: La libertà del cristiano e La prigionia babilonese della chiesa, 1520).
  • Prediche sulla chiesa e lo Spirito Santo, a cura di Giuliana GANDOLFO, Claudiana, Torino 1984.
  • Prefazioni alla Bibbia, a cura di Marco VANNINI, Marietti, Genova 1987.
  • Scritti pastorali minori, a cura di Stefano CAVALLOTTO, EDB, Napoli 1987.
  • Le tesi De homine (1530), a cura di Sergio ROSTAGNO, “Protestantesimo” 4/1990, 306-317 (testo e commento).
  • La Lettera ai Romani (1515-16), a cura di Franco BUZZI, Edizioni Paoline, Milano 1991.
  • Lezioni sulla lettera ai Romani (1515-16), a cura di Giancarlo PANI, 2 voll., Genova, Marietti, 1991-92.
  • Lieder e prose, a cura di Emilio BONFATTI, Milano, Mondadori, 1992.
  • La libertà del cristiano con il testo della lettera aperta a Leone X, a cura di Joachim Landkammer, la Rosa Editrice, Torino 1994.
  • Breviario, a cura di Claudio POZZOLI, Rusconi, Milano 1996.
  • I sette salmi penitenziali (1525); Il bel Confitemini (1530), a cura di Franco BUZZI, Rizzoli, Cinisello Balsamo 1996.
  • Contro gli Ebrei. Versione latina di Justus Jonas (1544). A cura di Attilio AGNOLETTO, Terziaria, Milano 1997.
  • Preghiere, a cura di Stefano CAVALLOTTO, Piemme, Casale Monferrato 1997.
  • Lettera del tradurre, a cura di Emilio BONFATTI, Marsilio, Venezia 1998.
  • Discorsi a tavola, a cura di Leandro PERINI, con un saggio di Delio CANTIMORI, Einaudi, Torino 1999.
  • Sermoni. Traduzione di Federica MASIERO, Edizioni Ariele, Milano 1999.
  • Degli ebrei e delle loro menzogne, a cura di Adelisa MALENA. Prefazione di Adriano Prosperi, Einaudi, Torino 2000.
  • Della libertà del cristiano, a cura di Giampiero BOF, Messaggero, Padova 2004.
  • Commento al Magnificat, a cura di Dino MANZELLI (trad. di R. M. Bruno) (Quaderni di ricerca, 2), Centro di Studi Ecumenici Giovanni XXIII, Sotto il monte (BG) 2005.

Bibliografia  [modifica]

  • Lucien Febvre, Martin Lutero, Bari, 1969.
  • Roland H. Bainton, Martin Lutero, Torino, 1960.
  • R. H. Bainton, La riforma protestante, a cura di D. Cantimori, Einaudi, Torino 1958.
  • E. H. Erikson, Il giovane Lutero. Studio storico-psicoanalitico, Roma, 1967.
  • A. Giardina – G. Sabatucci – V. Vidotto. Il Manuale dal 1350 al 1650, Roma-Bari, 2002.
  • AA. VV., Il consenso cattolico-luterano sulla dottrina della giustificazione, a cura di Fulvio Ferrario e Paolo Ricca, Claudiana, Torino 1999.
  • Fulvio Ferrario, William Jourdan, Per grazia soltanto. L’annuncio della giustificazione, Torino, 2005.
  • Vittorio Subilia, La giustificazione per fede, Brescia, 1976.
  • Giorgio Tourn, I protestanti. Una rivoluzione, Claudiana, Torino 1993.
  • André Gounelle, I grandi princìpi del protestantesimo., Claudiana, Torino 2000.
  • Delio Cantimori, Martin Lutero, discorsi a tavola, trad. di L. Perini, Torino, 1969.
  • Thomas Kaufmann, Lutero, trad. di M. Cupellaro, Bologna, 2007.

Filmografia  [modifica]

Voci correlate  [modifica]

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Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922Roma, 2 novembre 1975) è stato uno scrittore, poeta e regista italiano.

È internazionalmente considerato uno dei maggiori artisti e intellettuali italiani del XX secolo. Dotato di un’eccezionale versatilità culturale, si distinse in numerosi campi, lasciando contributi come poeta, romanziere, linguista, giornalista e cineasta.

Attento osservatore della trasformazione della società dal dopoguerra sino alla metà degli anni settanta, suscitò spesso forti polemiche e accesi dibattiti per la radicalità dei suoi giudizi, assai critici nei riguardi delle abitudini borghesi e della nascente società dei consumi italiana, ma anche nei confronti del Sessantotto e dei suoi protagonisti.

Indice

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Biografia [modifica]

Pier Paolo Pasolini e la madre

L’infanzia e la giovinezza [modifica]

Pier Paolo Pasolini, primogenito dell’ufficiale romagnolo Carlo Alberto e della maestra friulana Susanna Colussi, nacque nella zona universitaria di Bologna, in una foresteria militare, in Via Borgonuovo 4, ove ora c’è una targa in marmo che lo ricorda.

A causa dei frequenti trasferimenti del padre, la famiglia, che risiedeva a Parma, nel 1923 si trasferì a Conegliano, e nel 1925 a Belluno, dove nacque il fratello Guidalberto. Nel 1927 i Pasolini furono nuovamente a Conegliano, dove Pier Paolo prima di compiere i sei anni fu iscritto alla prima elementare.

Pier Paolo a Casarsa

L’anno successivo traslocarono in Friuli, a Casarsa della Delizia, ospiti della casa materna, poiché il padre era agli arresti per alcuni debiti di gioco. La madre, per far fronte alle difficoltà economiche, riprese l’insegnamento. Terminato il periodo di detenzione del padre, ripresero i trasferimenti ad un ritmo quasi annuale. Fondamentali rimasero i soggiorni estivi a Casarsa.

« … vecchio borgo… grigio e immerso nella più sorda penombra di pioggia, popolato a stento da antiquate figure di contadini e intronato dal suono senza tempo della campana.[1] »

Nel 1929 i Pasolini si spostarono nella vicina Sacile, sempre in ragione del mestiere del capofamiglia, e in quell’anno Pier Paolo aggiunse alla sua passione per il disegno quella della scrittura, cimentandosi in versi ispirati ai semplici aspetti della natura che osservava a Casarsa.

Dopo un breve soggiorno a Idria (oggi in territorio sloveno), la famiglia ritornò a Sacile, dove Pier Paolo affrontò l’esame di ammissione al ginnasio. A Conegliano iniziò a frequentare la prima classe, ma a metà dell’anno scolastico 19321933 il padre fu trasferito a Cremona dove la famiglia rimase fino al 1935, quando ci fu un nuovo spostamento a Scandiano (con gli inevitabili problemi di adattamento). In Pier Paolo crebbe la passione per la poesia e la letteratura, mentre lo abbandonava il fervore religioso del periodo dell’infanzia. Al ginnasio di Reggio Emilia conobbe il primo vero amico della giovinezza, Luciano Serra, che incontrò ancora l’anno seguente al Liceo Galvani di Bologna.

A Bologna, dove trascorrerà sette anni («Bella e dolce Bologna! Vi ho passato sette anni, forse i più belli… »[1]) Pier Paolo coltivò nuove passioni, come quella del calcio, e alimentò la sua passione per la lettura comprando numerosi volumetti presso le bancarelle di libri usati del Portico della Morte. Le letture spaziavano da Dostoevskij, Tolstoj e Shakespeare ai poeti romantici del periodo di Manzoni.

Al Liceo Galvani di Bologna fece conoscenza con altri amici, tra i quali Ermes Parini, Franco Farolfi, Elio Melli, e con loro costituì un gruppo di discussione letteraria. Intanto la sua carriera scolastica proseguiva con eccellenti risultati e nel 1939 venne promosso alla terza liceo con una media tanto alta da indurlo a saltare un anno per presentarsi alla maturità in autunno.

Pier Paolo Pasolini con gli amici a Bologna nel 1937

Si iscrisse così, a soli diciassette anni, alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna, e scoprì nuove passioni culturali, come la filologia romanza e soprattutto l’estetica delle arti figurative.

Frequentava intanto il Cineclub di Bologna dove si appassionò al ciclo dei film di René Clair; si dedicò allo sport e fu promosso capitano di calcio della Facoltà di Lettere; faceva gite in bicicletta con gli amici e frequentava i campeggi estivi che organizzava l’Università di Bologna. Con gli amici – l’immagine da offrire ai quali era sempre quella del “noi siamo virili e guerrieri”, cosicché non percepissero nulla dei suoi travagli interiori – si incontrava, oltre che nelle aule dell’Università, anche nei luoghi istituiti dal Regime fascista per la gioventù, come il GUF, i campeggi della “Milizia”, le competizioni dei Littoriali della cultura. Procedevano in questo periodo le letture delle Occasioni di Montale, di Ungaretti e delle traduzioni dei lirici greci di Quasimodo, mentre fuori dall’ambito poetico leggeva soprattutto Freud e ogni cosa che fosse disponibile in traduzione italiana.

Nel 1941 la famiglia Pasolini trascorse come ogni anno le vacanze estive a Casarsa, e Pier Paolo scrisse poesie che allegava alle lettere per gli amici bolognesi tra i quali, oltre l’amico Serra, erano inclusi Roberto Roversi e il cosentino Francesco Leonetti, verso i quali sentiva un forte sodalizio:

« L’unità spirituale e il nostro modo unitario di sentire sono notevolissimi, formiamo già cioè un gruppo, e quasi una poetica nuova, almeno così mi pare.[2] »

I quattro giovani pensarono di fondare una rivista dal titolo Eredi alla quale Pasolini volle conferire un programma sovraindividuale:

« Davanti a Eredi dovremo essere quattro, ma per purezza uno solo.[2] »

La rivista non vedrà la luce a causa delle restrizioni ministeriali sull’uso della carta, ma quell’estate del 1941 rimarrà per i quattro amici indimenticabile. Iniziarono intanto ad apparire nelle poesie di Pasolini alcuni frammenti di dialogo in friulano anche se le poesie inviate agli amici continuavano ad essere composte da versi improntati alla letteratura in lingua italiana.

Le prime esperienze letterarie [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Pier Paolo Pasolini (analisi delle opere).

Di ritorno da Casarsa all’inizio dell’autunno scoprì di aver nel cuore la lingua friulana e tra gli ultimi mesi del 1941 e i primi del 1942 scrisse i versi che, raccolti in un libretto intitolato Poesie a Casarsa, verranno pubblicati a spese dell’autore e saranno subito notati da Gianfranco Contini (che gli dedicherà una recensione positiva), da Alfonso Gatto e dal critico Antonio Russi.

A Bologna intanto riprese la fervida vita culturale, che si svolse all’interno dell’università, e, anche perché incoraggiato dal giudizio positivo che Francesco Arcangeli aveva dato ai suoi quadri, chiese di svolgere una tesi di laurea sulla pittura italiana contemporanea con Roberto Longhi, docente di Storia dell’arte. Di questa tesi, il cui manoscritto andrà perduto durante i giorni dell’otto settembre del 1943, Pasolini abbozzerà solamente i primi capitoli per poi rinunciarvi e passare ad una tesi più motivata sulla poesia del Pascoli. Scelto come relatore il suo professore di Letteratura Italiana Carlo Calcaterra, Pasolini lavorò al progetto dell’ Antologia della lirica pascoliana tra il 1944 e il ’45, mettendo a punto, dopo un’ampia introduzione in cui sono esposte e discusse le premesse teoriche cui è informato lo studio, una personale selezione di testi dalle differenti raccolte del Pascoli, analizzati e commentati con sensibilità peculiare. La discussione della tesi fu il 26 novembre 1945, ma solo nel 1993 l’ Antologia vide la luce per i tipi della casa editrice Einaudi.

La GIL di Bologna aveva intanto in programma di pubblicare una rivista, Il Setaccio, con qualche fronda culturale. Pasolini aderì e ne diventò redattore capo, ma presto entrò in contrasto con il direttore responsabile che era molto ligio alla retorica del regime. La rivista cesserà le pubblicazioni dopo soli sei numeri ma rappresenterà per Pasolini un’esperienza importante, grazie alla quale comprenderà la natura regressiva e provinciale del fascismo e maturerà un atteggiamento culturale antifascista.

Sempre in quell’anno partecipò ad un viaggio nella Germania nazista, organizzato come incontro della gioventù universitaria dei paesi fascisti, che gli rivelò aspetti della cultura europea sconosciuti al provincialismo italiano. Al ritorno dal viaggio pubblicò, sulla rivista del GUF, l’articolo – evidentemente sfuggito alla censura – Cultura italiana e cultura europea a Weimar, che anticipava già quello che sarà il Pasolini “corsaro”, e sul “Setaccio” tracciò le linee di un programma culturale i cui principi erano quelli dello sforzo di autocoscienza, del travaglio interiore, individuale e collettivo, e della sofferta sensibilità critica.

Il periodo della guerra [modifica]

Il 1942 si concluse con la decisione della famiglia di sfollare in Friuli, a Casarsa, ritenuto un luogo più tranquillo e sicuro per attendere la fine della guerra. Nel 1943 a Casarsa il giovane Pier Paolo fu colto da quei turbamenti erotici che in passato aveva cercato di allontanare:

« Un continuo turbamento senza immagini e senza parole batte alle mie tempie e mi oscura. »

Continuava intanto a tenersi in contatto epistolare con gli amici, ai quali questa volta non volle nascondere nulla, raccontando quanto gli stava capitando:

« Ho voglia di essere al Tagliamento, a lanciare i miei gesti uno dopo l’altro nella lucente cavità del paesaggio. Il Tagliamento qui è larghissimo. Un torrente enorme, sassoso, candido come uno scheletro. Ci sono arrivato ieri in bicicletta, giovane indigeno, con un più giovane indigeno di nome Bruno… »

Alla vigilia dell’Armistizio, Pasolini fu chiamato alle armi. Costretto ad arruolarsi a Livorno nel 1943, all’indomani dell’8 settembre disobbedì all’ordine di consegnare le armi ai tedeschi e riuscì a fuggire travestito da contadino e a rifugiarsi a Casarsa. Lì c’erano alcuni giovani appassionati di poesia con i quali il giovane Pasolini cercò di formare un gruppo culturale che rivendicasse l’uso letterario del friulano casarsese contro l’egemonia di quello udinese. Il nuovo gruppo si propose di pubblicare una rivista che fosse in grado di rivolgersi al pubblico del paese e nello stesso tempo promuovere la sua poetica. Il primo numero della rivista uscì nel maggio del 1944 con il titolo “Stroligùt di cà da l’aga” (“Lunario [pubblicato] di qua dell’acqua [il Tagliamento]”).

Nel frattempo la tranquillità di Casarsa era compromessa dai bombardamenti e dai rastrellamenti di fascisti per l’arruolamento forzato nel nuovo esercito della Repubblica di Salò ed iniziavano a formarsi i primi gruppi partigiani. Pier Paolo cercò di astrarsi il più possibile dedicandosi agli studi e alla poesia, e intanto aprì in casa sua una piccola scuola privata per quegli studenti che a causa dei bombardamenti non potevano raggiungere le scuole di Pordenone o il ginnasio di Udine. Nell’ottobre del 1944 Pier Paolo e la madre – il fratello Guido si era intanto unito alle formazioni partigiane della Carnia – si trasferirono a Versuta, che sembrava essere un luogo più tranquillo e lontano dagli obiettivi militari. Nel villaggio mancava la scuola e i ragazzi dovevano percorrere più di un chilometro per raggiungere la loro sede scolastica. Susanna e Pier Paolo decisero così di aprire una scuola gratuita nella loro casa. In questo periodo Pier Paolo visse il suo primo amore per un allievo tra i più grandi («In quelle membra splendevano un’ingenuità, una grazia… o l’ombra di una razza scomparsa che durante l’adolescenza riaffiora») e, al contempo, si innamorò di lui una giovane violinista slovena, Pina Kalč, che aveva raggiunto con la sua famiglia il rifugio di Pasolini. la vicenda del ragazzo e l’amore di Pina per lui si intrecciarono complicando dolorosamente quei lunghi mesi che mancavano alla fine della guerra.

Il 7 febbraio del 1945, a Porzus, in Friuli Venezia Giulia, una milizia di partigiani filocomunisti massacrò la Brigata Osoppo, gruppo di partigiani moderati: si trattava del famoso Eccidio di Porzus. Tra i caduti c’era anche Guido, fratello diciannovenne di Pier Paolo. Questa notizia giunse a Casarsa diverse settimane dopo la fine della guerra gettando Pier Paolo e la madre in un terribile strazio. Proseguirono comunque le lezioni nella piccola scuola di Versuta, dove Pier Paolo era considerato un vero maestro. Il 18 febbraio dello stesso anno venne fondata l'”Academiuta di lenga furlana” che raccoglieva un piccolo gruppo di neòteroi e che, sulle basi delle esperienze precedenti di Pier Paolo, fondò i principi del felibrismo regionale:

« Friulanità assoluta, tradizione romanza, influenza delle letterature contemporanee, libertà, fantasia. »

Pier Paolo Pasolini e la scolaresca dell’Academiuta

In agosto fu pubblicato il primo numero de Il Stroligut, con una numerazione nuova per distinguersi dal precedente Stroligut di cà da l’aga e, nello stesso periodo, iniziò la serie dei “diarii” in versi italiani pubblicati in un primo volumetto a spese dell’autore. Nello stesso anno aderì all'”Associazione per l’autonomia del Friuli” e dopo il ritorno del padre, prigioniero degli inglesi in Africa poi rimpatriato dal Kenya, Pasolini discusse la tesi di laurea su Antologia della poesia pascoliana: introduzione e commenti. Con la laurea il ruolo di Pasolini come insegnante-direttore della scuola, che era stato fortemente contrastato dal provveditorato dal momento che alla sua fondazione egli non era ancora laureato, divenne effettivo.

Gli anni del dopoguerra [modifica]

Uscirono intanto nel 1946, con la data del 1945, sulle “Edizioni dell’Academiuta”, una breve raccolta di poesie intitolata I Diarii e, sulla rivista fiorentina Il Mondo, due poesie scelte e tratte dalla raccolta dallo stesso Montale. Isolato a Versuta (la casa di Casarsa fu distrutta dai bombardamenti) Pasolini cercò di ristabilire i rapporti con il mondo letterario e scrisse a Gianfranco Contini per presentargli il progetto di trasformare lo Stroligùt da semplice foglio a rivista. In seguito alla visita fatta da Silvana Mauri, sorella di un suo amico e innamorata di Pasolini, a Versuta, si recò in agosto a Macugnaga dove risiedeva la famiglia Mauri, e approfittando dell’occasione si recò a Domodossola per incontrare Contini.

Usciva nel frattempo a Lugano il bando del premio “Libera Stampa” e Contini, che era membro della giuria, sollecitò il giovane amico a inviare il dattiloscritto che gli aveva mostrato, L’usignolo della Chiesa cattolica, con la seconda parte de Il pianto della rosa. L’operetta riceverà solamente una segnalazione ma intanto Pasolini uscì dal suo isolamento e, grazie anche al clima più sereno del dopoguerra, ricominciò a frequentare la compagnia dei ragazzi più grandi di Versuta. In ottobre Pasolini si recò a Roma dove fece la conoscenza di alcuni letterati che lo invitarono a collaborare alla “Fiera Letteraria” e nel maggio iniziò le prime pagine del diario intimo che chiamò Quaderni rossi perché scritti a mano su quaderni scolastici dalla copertina rossa. Completò inoltre il dramma in italiano in tre atti intitolato Il Cappellano e pubblicò, nelle Edizioni dell’Academiuta, la raccolta poetica, sempre in italiano, I Pianti.

La loggia di San Giovanni, dove Pasolini affiggeva i suoi manifesti politici giovanili, prima d’essere espulso dal partito

Il 26 gennaio del 1947 Pasolini scrisse sul quotidiano “Libertà” di Udine una dichiarazione che farà scalpore tra i politici comunisti che smentirono la sua iscrizione al PCI: «Noi, da parte nostra, siamo convinti che solo il comunismo attualmente sia in grado di fornire una nuova cultura “vera”, una cultura che sia moralità, interpretazione intera dell’esistenza». Dopo la guerra Pasolini, che era stato a lungo indeciso sul campo in cui scendere, osservò le nuove esigenze di giustizia che erano nate nel rapporto tra il padrone e le varie categorie di diseredati e non ebbe dubbi sulla parte da cui voleva schierarsi. Cercò così di consolidare una prima infarinatura dottrinaria con la lettura di Karl Marx e soprattutto con i primi libri di Antonio Gramsci. Scriverà all’amica poetessa Giovanna Bemporad:

« L’altro è sempre infinitamente meno importante dell’io ma sono gli altri che fanno la storia. »

Ed è pensando all’altro che nacque la decisione importante di aderire al comunismo.

Progettò intanto di allargare la collaborazione della rivista dell’Academiuta alle altre letterature neolatine e fu messo in contatto, da Contini, con il poeta catalano in esilio Carles Cardó. Sempre a Contini inviò la raccolta completa delle sue poesie in friulano che per ora si intitolava Cjants di un muàrt, titolo che verrà cambiato in seguito in La meglio gioventù. Non riuscì però ad ottenere l’aiuto di nessun editore per pubblicare i versi. Malgrado queste delusioni letterarie egli si sentiva felice e scriverà agli amici:

« Sono sereno e anzi, in preda a un’avida e dionisiaca allegrezza. »

Alla fine dell’anno ottenne l’incarico di insegnare materie letterarie alla prima media della scuola di Valvasone, che raggiungeva ogni mattina in bicicletta. Continuò con grande convinzione la sua adesione al PCI e in gennaio partecipò alla manifestazione, che si tenne nel centro di San Vito, organizzata dalla Camera del lavoro per ottenere l’applicazione del Lodo De Gasperi e fu in questa occasione che, osservando le varie fasi degli scontri con la polizia e parlando con i giovani contadini, si delineò il progetto di scrivere un romanzo su quel mondo in fermento. Il primo titolo del romanzo è La meglio gioventù. Sempre impegnato nel PCI partecipò nel febbraio del 1949 al primo congresso della Federazione comunista di Pordenone e in Maggio si recò a Parigi per il Congresso mondiale della pace. Nell’ottobre dello stesso anno, Pier Paolo venne però denunciato per corruzione di minorenni e atti osceni in luogo pubblico e i suoi avversari politici, sfruttando lo scandalo, lo accusarono di omosessualità[3] mentre i dirigenti del PCI di Udine decisero di espellerlo dal partito. Gli venne anche tolto l’incarico dall’insegnamento.

Trascorsero due mesi molto difficili per Pier Paolo che nel gennaio del 1950 si rifugerà con la madre a Roma. I primi tempi a Roma saranno difficili per il giovane che sentiva il dovere di trovare un lavoro. Mentre cercava senza successo di dare lezioni private, si iscrisse al sindacato comparse di cinecittà, si offrì come correttore di bozze presso un giornale, riuscì a pubblicare qualche articolo su alcuni quotidiani cattolici e continuò a scrivere i romanzi che aveva iniziato in Friuli: Atti impuri, Amado mio, La meglio gioventù. Inizia a scrivere Ragazzi di vita e alcune pagine romane, come Squarci di notti romane, Gas e Giubileo, che saranno in seguito riprese in Alì dagli occhi azzurri. Dopo l’amicizia con Sandro Penna, che diventò l’amico inseparabile delle passeggiate notturne sul lungotevere, conobbe nel ’51 un giovane imbianchino, Sergio Citti, che lo aiuterà ad apprendere il gergo e il dialetto romanesco costituendo, come scriverà lo stesso Pasolini, il suo “dizionario vivente”. Compose in questo periodo le poesie che verranno raccolte in Roma 1950 – Diario pubblicate nel 1960 da Scheiwiller e finalmente, nel dicembre dello stesso anno, fu assunto come insegnante nella scuola media parificata di Ciampino. Durante l’estate pubblicò sulla rivista Paragone il racconto Il Ferrobedò, che diventerà in seguito un capitolo di “Ragazzi di vita”, scrisse il poemetto L’Appennino che farà da apertura a Le ceneri di Gramsci e altri racconti romani. In questo periodo strinse amicizia con Giorgio Caproni, Carlo Emilio Gadda e Attilio Bertolucci grazie al quale firmerà il primo contratto editoriale per una Antologia della poesia dialettale del Novecento che uscirà nel dicembre del ’52 con una recensione di Eugenio Montale.

Nel 1953 prese a lavorare ad una antologia della poesia popolare, per la collana dell’editore Guanda diretta dall’amico Bertolucci, che uscirà con il titolo Canzoniere italiano nel 1955 e nel frattempo pubblicò il primo volumetto di versi friulani Tal còur di un frut. Nell’ottobre dello stesso anno uscì su “Paragone” un’altra anticipazione del futuro Ragazzi di vita e Bertolucci lo segnalò a Livio Garzanti perché si impegnasse a pubblicare il romanzo.

Nel 1954, in situazione di ristrettezze economiche, riesce a far pubblicare La meglio gioventù, una raccolta di poesie in friulano con una dedica a Gianfranco Contini, con cui Pasolini vinse il Premio Giosuè Carducci, premio storico, ancora oggi vigente, della città di Pietrasanta (LU). Come scrive in una lettera indirizzata a Vittorio Sereni, datata 7 agosto 1954, Pasolini si trova ad accettare il Premio soprattutto “per l’urgente, odioso bisogno delle 150mila”.

Prime esperienze cinematografiche e pubblicazioni letterarie [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Ragazzi di vita.

Risale al marzo del 1954 il suo primo lavoro cinematografico che consisteva nella collaborazione con l’amico Giorgio Bassani alla sceneggiatura del film di Mario Soldati La donna del fiume e a giugno venne pubblicata l’intera opera delle sue poesie friulane, La meglio gioventù, con la dedica a Gianfranco Contini che vince il premio Carducci ex aequo con Paolo Volponi.
Intanto Vittorio Sereni gli propone di pubblicare una raccolta di poesie nella collana per La Meridiana che curava insieme a Sergio Solmi che uscirà nel gennaio del 1955 con il titolo Il canto popolare e che confluirà in seguito nell’opera “Le ceneri di Gramsci”.

Il 13 aprile del 1955 Pasolini spedì all’editore Garzanti il dattiloscritto completo di Ragazzi di vita che viene dato alle bozze. Il romanzo uscirà quello stesso anno ma il tema scabroso che trattava, quello della prostituzione omosessuale maschile, causa all’autore accuse di oscenità.
Nonostante l’intervento feroce della critica (tra questi Emilio Cecchi, Asor Rosa e Carlo Salinari) e l’esclusione dal premio Strega e dal premio Viareggio, il libro ottenne un grande successo da parte del pubblico, venne festeggiato a Parma da una giuria presieduta da Giuseppe De Robertis e vinse il “Premio letterario Mario Colombi Guidotti“.
Nel frattempo la magistratura di Milano aveva accolto la denuncia di “carattere pornografico” del libro.

Il 28 ottobre del 1955 il vecchio amico cosentino Francesco Leonetti gli aveva scritto dicendo che era giunto il momento di fare una nuova rivista, annunciando in questo modo quella che diventerà presto “Officina“, rivista che ritrova i suoi precedenti nella rivista giovanile “Eredi”.
Il progetto della rivista, lanciato appunto da Leonetti e da Roberto Roversi, procedette in quello stesso anno con numerosi incontri per la stesura del programma al quale Pasolini aderì attivamente.

Sempre nel 1955 uscì l’antologia della poesia popolare, Canzoniere italiano con una dedica al fratello Guido e in luglio Pasolini si recherà a Ortisei con Giorgio Bassani per lavorare alla sceneggiatura di un film di Luis Trenker. Questo è il periodo in cui cinema e letteratura iniziano a procedere su due binari paralleli come scrive Pasolini stesso a Contini;

« Procedo parallelo per due binari speriamo verso nuove stazioni. Non ne inorridisca come fanno i letterati mediocri qui a Roma: ci senta un po’ di eroismo. »

Polemiche e denunce [modifica]

Continuava nel frattempo la polemica della critica marxista a Ragazzi di vita e Pasolini pubblicò sul numero di aprile della nuova rivista Officina un articolo contro Salinari e Trombatore che scrivevano sul Contemporaneo.
A luglio si tenne a Milano il processo contro Ragazzi di vita che terminerà con una sentenza di assoluzione con “formula piena”, grazie anche alle testimonianze: di Carlo Bo, che aveva dichiarato il libro essere ricco di valori religiosi “perché spinge alla pietà verso i poveri e i diseredati” e non contenente oscenità perché “i dialoghi sono dialoghi di ragazzi e l’autore ha sentito la necessità di rappresentarli così come in realtà”. E di Giuseppe Ungaretti che inviò una lettera firmata ai magistrati che si occupavano del caso Ragazzi di vita dicendo loro che si trattava di un abbaglio clamoroso perché il romanzo di Pasolini era semplicemente la cosa più bella che si poteva leggere in quegli anni[4].

Cineasta e scrittore [modifica]

Nel mese di agosto scrisse la sceneggiatura per il film di Mauro Bolognini, Marisa la civetta, e contemporaneamente collaborò con Fellini alle Notti di Cabiria.
Alternando il suo impegno di cineasta con quella di letterato, scrisse, in questo periodo, articoli di critica sul settimanale “Il Punto” (la prima recensione sarà per “La Bufera” di Montale) e assiste i nuovi giovani scrittori di “Officina”, come Arbasino, Sanguineti e Alfredo Giuliani, che emergeranno in seguito nel Gruppo ’63.
Fece nuove amicizie tra le quali si annovera quella con Laura Betti, Adriana Asti, Enzo Siciliano, Ottiero Ottieri.

Ispirato dalla crisi ideologica e politica in atto (il rapporto Kruscev al “XX Congresso” del Partito comunista sovietico aveva segnato il rovesciamento dell’epoca staliniana mettendo in evidenza il contrasto con quanto era successo in Polonia e in UngheriaRivolta di Poznań – ) il 1956 sarà l’anno della stesura definitiva delle “Ceneri di Gramsci” e della prima bozza del romanzo Una vita violenta.

Il dattiloscritto de Le ceneri di Gramsci, composto da undici poemetti scritti tra il 1951 e il 1956, venne spedito da Pasolini a Garzanti nell’agosto del 1957. L’opera, come già era successo per Ragazzi di vita, accese un contrastato dibattito critico ma ebbe un forte impatto sul pubblico che in quindici giorni esaurì la prima edizione. Al premio Viareggio, che si tenne nell’agosto di quell’anno, il libro venne premiato insieme al volume Poesie di Sandro Penna, e Quasi una vicenda, di Alberto Mondadori.
Italo Calvino aveva già espresso, con dure parole, il suo giudizio nei confronti del disinteresse di alcuni critici marxisti sostenendo che per la prima volta “in un vasto componimento poetico viene espresso con una straordinaria riuscita nell’invenzione e nell’impiego dei mezzi formali, un conflitto di idee, una problematica culturale e morale di fronte a una concezione del mondo socialista”.

Collaborò intanto a “Vie Nuove” e a luglio, in veste di inviato speciale, si recò a Mosca al Festival della gioventù mentre presso l’editore Longanesi uscirono i versi de L’usignolo della Chiesa cattolica. Lavorò anche alacremente a “Una vita violenta”, scrisse la sua prima autonoma sceneggiatura, “La notte brava“, e collaborò con Bolognini a “Giovani mariti[5].

Nel dicembre del 1958 terminò Una vita violenta che consegnerà all’editore Garzanti nel marzo del 1959 e, alla fine di un lungo lavoro di “autocensura” reso necessario soprattutto per un episodio considerato dall’editore pericoloso dal punto di vista politico, il libro uscirà a maggio dello stesso anno ma, come già successo per Ragazzi di vita, non otterrà né il premio Viareggio né quello Strega.
Apprezzato e stimato comunque da una consistente gruppo di letterati otterrà il “premio Crotone” da una giuria composta da Ungaretti, Debenedetti, Moravia, Gadda e Bassani.

Durante l’estate Pasolini fece un viaggio giornalistico lungo le coste italiane come inviato del mensile Successo e scrisse tre puntate dal titolo La lunga strada di sabbia. Traduce l’Orestiade di Eschilo per la compagnia teatrale di Vittorio Gassman e riordinò i versi che compongono La religione del mio tempo.
L’Azione cattolica nel frattempo aveva provveduto a sporgere denuncia “per oscenità” alla magistratura per “Una vita violenta”, denuncia che verrà però subito archiviata.

Il suo primo film: Accattone [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Accattone.

Pasolini durante le riprese di Accattone

Nell’anno 1960 Pasolini iniziò a scrivere le bozze del libro di saggi Passione e ideologia, raccolse i versi de La religione del mio tempo e soprattutto si dedicò al suo amore per il cinema scrivendo le sceneggiature de La giornata balorda di Bolognini, Il carro armato dell’8 settembre per Gianni Puccini, La lunga notte del ’43 per Florestano Vancini tratto dal racconto di Bassani e Il bell’Antonio tratto dal romanzo di Vitaliano Brancati.
Si era intanto prospettato alla sua mente il progetto di scrivere un film in proprio dal titolo La commare secca, ma i fatti di luglio, con i drammatici giorni del governo Tambroni, gli faranno mettere da parte il progetto per scrivere il soggetto di Accattone.
L’amico Bolognini gli trovò un produttore, Alfredo Bini, al quale Pier Paolo spiegò come voleva fosse girato il film: molti primi piani, prevalenza dei personaggi sul paesaggio e soprattutto grande semplicità. Protagonista sarà Franco Citti, il fratello di Sergio.
Federico Fellini, per il quale aveva scritto una scena de La dolce vita, lo aiutò a realizzare due sequenze del film.

Pasolini presentato come corruttore della gioventù sul settimanale di destra “Il borghese” nel 1960

Il 30 giugno di quello stesso anno Pasolini ricevette una denuncia della polizia per favoreggiamento personale perché aveva dato un passaggio a due ragazzi di Trastevere che erano stati coinvolti in una rissa. Ne risulterà innocente ma l’accanimento contro la sua persona lo amareggerà molto.

« Questa è una cattiveria, che, a colui che ne è colpito, dà un profondo dolore: gli dà il senso di un mondo di totale incomprensione, dove è inutile parlare, appassionarsi, discutere; gli dà il senso di una società dove per sopravvivere, non si può che essere cattivi, rispondere alla cattiveria con la cattiveria… Certamente quello che devo pagare io è particolarmente pesante, delle volte mi dà un vero e proprio senso di disperazione, ve lo confesso sinceramente. »

Sempre nel ’60 uscirono due volumi di vecchi versi, Roma 1950 – Diario e Sonetto primaverile.
Prima del Capodanno del 1961 partì per l’India con Alberto Moravia e Elsa Morante e il viaggio gli fornirà il materiale per scrivere una serie di articoli per Il Giorno che andranno a formare il volume L’odore dell’India.
A maggio venne pubblicata la raccolta La religione del mio tempo molto apprezzata dall’amico Franco Fortini che gli scriverà: “Vorrei che fossi qui per abbracciarti”.

Erano intanto iniziate nel mese di aprile le riprese del film l’Accattone che a settembre viene presentato al Festival di Venezia. Non particolarmente apprezzato dalla critica italiana, a Parigi, dove venne presto proiettato, ricevette invece il giudizio entusiastico di Marcel Carné e di André Chamson[6].

Gli anni sessanta [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Il sogno di una cosa.

Nell’autunno del 1961 si recò al Circeo nella villa di un’amica per scrivere insieme a Sergio Citti la sceneggiatura del film Mamma Roma la cui lavorazione verrà programmata per la primavera del 1962 e venne chiamata per interpretarlo Anna Magnani.
Terminò nel frattempo il romanzo del periodo friulano, Il sogno di una cosa, che verrà pubblicato in maggio e tra aprile e giugno lavorò alle riprese di Mamma Roma che verrà presentato alla Mostra del cinema di Venezia ottenendo un grande successo.

Durante il settembre di quello stesso anno Pasolini partecipò a un convegno che si tenne alla Cittadella di Assisi[7] ed ebbe occasione di leggere il Vangelo di San Matteo. Da questa lettura nacque l’idea di produrre un film. Nel frattempo partecipò, con il produttore Bini, ad un film a episodi insieme a Roberto Rossellini, Jean-Luc Godard e Ugo Gregoretti e in quell’occasione pensò di ricavare un mediometraggio su una ricostruzione cinematografica della Passione di Cristo scritta durante la lavorazione di Mamma Roma dal titolo La ricotta che uscirà il primo marzo del 1963 accolto da un pubblico poco partecipe e che verrà sequestrato lo stesso giorno della sua uscita con l’accusa di “vilipendio alla religione di stato”.

Pier Paolo Pasolini durante il processo

Il processo, che verrà tenuto a Roma tra il 6 e il 7 marzo, condannò Pasolini a quattro mesi di reclusione per essere “colpevole del delitto ascrittogli” e il film venne sequestrato fino al dicembre dello stesso anno.

Come scriverà Alberto Moravia su L’espresso[8]:

« L’accusa era quella di vilipendio alla religione. Molto più giusto sarebbe stato incolpare il regista di aver vilipeso i valori della piccola e media borghesia italiana. »

Continuò intanto a tenere i contatti con la Cittadella di Assisi e nel febbraio iniziò le ricerche filologiche e storiche per poter realizzare il progetto di girare un film che avesse come soggetto il Vangelo.
Insieme al biblista Andrea Carraro e un troupe di tecnici compì viaggi in Israele e Giordania per trovare i luoghi e le persone adatte per la realizzazione del film. Il personaggio più difficile da trovare fu il Cristo che Pasolini volle dai lineamenti forti e decisi.
Dopo averlo cercato tra poeti come Evtusenko, Ginsberg e Goytisolo, trovò per caso uno studente spagnolo, Enrique Irazoqui, dal volto fiero e distaccato simile ai Cristi dipinti dal Goya o da El Greco, e comprese di aver trovato la persona giusta.

Contemporaneamente alla preparazione del film Pasolini realizzò un film-inchiesta sulla sessualità degli italiani dal titolo Comizi d’amore. Iniziò a scrivere La Divina Mimesis, il rifacimento in romanesco del “Miles gloriosus” di Plauto che intitolerà Il Vantone e su richiesta di Vittorini presentò alcune poesie sulla rivista Il menabò e la Notizia su Amelia Rosselli.

Nel maggio del 1964 pubblicò la quarta raccolta di versi italiani Poesia in forma di rosa e il 24 aprile iniziarono le riprese del Vangelo secondo Matteo che verranno concluse all’inizio dell’estate. L’opera è stata girata nei paesaggi rupestri di Matera e Massafra utilizzando moltissime comparse locali.
Il film, presentato a settembre dello stesso anno a Venezia, venne stroncato all’inizio da molti intellettuali di sinistra tra i quali Sciascia e Fortini. Il film venne presentato a Parigi malamente accolto da alcuni critici di sinistra tra i quali Jean-Paul Sartre. Ma il film, presentato in tutti i paesi europei, ottenne un grande successo di pubblico e partecipò alla prima edizione della Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. In quella occasione Pasolini conobbe Roland Barthes.

Ninetto Davoli con Pier Paolo Pasolini a Venezia

Nel mese di ottobre del 1965 iniziarono le riprese del nuovo film Uccellacci e uccellini che trattava il tema della crisi politica del PCI e del marxismo in chiave “ideocomica”. Tra gli attori compariranno Totò e il giovane Ninetto Davoli. Totò era stato scelto perché il film, che si svolgeva tra il reale e il surreale, aveva bisogno di un attore che fosse un po’ clown.

Nel novembre del ’65 uscì anche la raccolta narrativa con il titolo suggerito da Sartre Alì dagli occhi azzurri che conteneva nella parte centrale le sceneggiature de La notte brava, Accattone, Mamma Roma, La ricotta, mentre la prima e l’ultima parte era costituita da racconti che risalivano agli anni cinquanta e dagli abbozzi dei romanzi Il Rio della grana e La Mortaccia.

In quell’anno fu invitato da Alberto Moravia e Alberto Carocci, che era stato direttore di Solaria, a dirigere con loro la nuova serie della rivista Nuovi Argomenti e, alla fine dell’anno, dopo aver progettato l’uscita di un nuovo film con Totò e la regia di un’opera lirica alla Piccola Scala, partirà per un viaggio in Nord Africa.

Già sofferente di ulcera, nel marzo del 1966, Pasolini, venne colpito da una forte emorragia che lo costrinse a letto. Sarà l’occasione di rileggere con calma i Dialoghi di Platone che lo stimoleranno a scrivere un teatro simile alla prosa.
Terminata la convalescenza lavorò a Bestemmia, un romanzo sotto forma di sceneggiatura in versi, e abbozzò Orgia e Bestia da stile e tra maggio e giugno lavorò ad alcuni drammi che voleva rappresentare all’estero.

Intanto, al Festival di Cannes che si tenne il 3 maggio, il film Uccellacci e uccellini ebbe grande successo e l’intervento positivo di Roberto Rossellini durante la conferenza stampa suscitò grande interesse.

Tra la primavera e l’estate del 1966 scrisse la bozza dei film Teorema e l’Edipo re oltre ad elaborare altri drammi: Pilade, Porcile e Calderón.
In agosto si recò a New York e durante il soggiorno pensò di ambientare in questa città un film su San Paolo. Conobbe in quell’occasione Allen Ginsberg che rincontrerà l’anno seguente a Milano.

All’inizio di ottobre si recò in Marocco per studiare l’ambientazione dell’Edipo re e a novembre girò un cortometraggio dal titolo La terra vista dalla luna con Silvana Mangano, Totò e Ninetto Davoli.
Di ritorno da un secondo viaggio in Marocco realizzò, in una sola settimana, le riprese del breve film Che cosa sono le nuvole?.
In aprile ebbero inizio le riprese dell’Edipo re nei deserti rossi del Marocco del sud che continueranno, per alcune scene, nella pianura di Lodi e per il finale nella città di Bologna.
Il film, che verrà presentato alla Mostra di Venezia quello stesso anno, non ebbe successo in Italia, mentre ottenne il favore del pubblico e della critica in Francia e in Giappone.
Nello stesso anno scrisse saggi di teoria e tecnica cinematografica che verranno raccolti nel 1972 in Empirismo eretico.

Nel marzo del 1968 venne dato alle stampe il romanzo Teorema che sarà trasformato successivamente nel soggetto di un film che verrà presentato alla Mostra di Venezia quello stesso anno e che vincerà il secondo premio della carriera di Pasolini, il “premio Ocic“. Jean Renoir, che assistette alla prima, dirà a un giornalista: “A chaque image, à chaque plan, on sent le trouble d’un artiste“.

La polemica con i giovani sessantottini [modifica]

Walter Veltroni con Pier Paolo Pasolini e Ferdinando Adornato negli anni settanta

In seguito ai celebri scontri di Valle Giulia, scoppiati tra i reparti della polizia che avevano occupato preventivamente la facoltà romana di Architettura e giovani studenti, scrisse la poesia Il P.C.I. ai giovani!![9] che, destinata alla rivista “Nuovi Argomenti” uscì, senza preavviso, su l’Espresso scatenando una forte polemica. Nella poesia Pasolini si rivolge ai giovani dicendo che la loro è una falsa rivoluzione e che essi sono solamente dei borghesi conformisti, strumenti nelle mani della nuova borghesia.

« Ho passato la vita a odiare i vecchi borghesi moralisti, e adesso, precocemente devo odiare anche i loro figli… La borghesia si schiera sulle barricate contro se stessa, i “figli di papà” si rivoltano contro i “papà”. La meta degli studenti non è più la Rivoluzione ma la guerra civile. Sono dei borghesi rimasti tali e quali come i loro padri, hanno un senso legalitario della vita, sono profondamente conformisti. Per noi nati con l’idea della Rivoluzione sarebbe dignitoso rimanere attaccati a questo ideale. »

La poesia venne strumentalizzata da alcuni, non capita da altri, e ancora oggi, scomparso l’autore, viene spesso citata per sostenere tesi differenti. Può essere illuminante sulle reali intenzioni di Pasolini andare a rileggerne la versione integrale e soprattutto la tavola rotonda[10] che l’Espresso ospitò qualche settimana dopo la pubblicazione, tavola rotonda a cui partecipò Pasolini stesso.

Nello stesso anno Pasolini girò La sequenza del fiore di carta con Ninetto Davoli tratto dalla parabola evangelica del fico infruttuoso che uscirà nel 1969, come terzo episodio del film “Amore e rabbia”.

Fine anni sessanta, tra teatro e cinema [modifica]

Pubblicò intanto su Nuovi Argomenti un saggio dal titolo Manifesto per un nuovo teatro in cui dichiarava il suo completo rifiuto del teatro italiano con un giudizio negativo sui testi scritti di Dario Fo.
Il 27 novembre rappresentò, al Deposito del Teatro Stabile di Torino, Orgia che venne accolta malamente dal pubblico e dai critici e, alla fine del 1968, ebbero inizio le riprese di Porcile.

Porcile ha come sfondo, per il suo episodio “metastorico”, l’Etna ed era stato pensato da Pasolini già nel 1965 quando aveva visto il film di Buñuel, Intolleranza: Simon del deserto. In seguito, per girare l’episodio moderno, la troupe si sposterà per le riprese a Villa Pisani a Stra.
Dopo Porcile, che l’autore ritenne “il più riuscito dei miei film, almeno esteriormente”, realizzò Medea e chiamò per interpretarlo Maria Callas. Le riprese del film vennero girate in Cappadocia, a Grado, a Pisa.
Durante la lavorazione del film compì un viaggio in Uganda, Tanzania e Tanganica per cercare i luoghi dell’ambientazione del film che pensava di girare subito dopo Porcile: Appunti per un’Orestiade africana.

Intanto era arrivato il 30 agosto e il film venne rappresentato alla Mostra di Venezia ma, ancora una volta, fu giudicato film poco gradevole e incomprensibile.

Gli anni settanta [modifica]

Pier Paolo Pasolini

Durante l’estate del 1970 scrisse la sceneggiatura di dieci novelle tratte, tra quelle tragico-comiche, dal Decamerone che ambienterà nel mondo napoletano.

Il trittico della vita [modifica]

Vuole essere Il Decameron il primo del trittico che Pasolini “dedica alla vita”. Seguiranno infatti I racconti di Canterbury e Il fiore delle Mille e una notte.

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci Il Decameron, I racconti di Canterbury (film) e Il fiore delle Mille e una notte.

Nel settembre dello stesso anno iniziò a girare a Caserta Vecchia le prime riprese per proseguire, con Ser Ciappelletto, a Napoli e a Bressanone. Era la prima volta che appariva in un film il corpo nudo di un uomo.

« Il corpo: ecco una terra non ancora colonizzata dal potere. »

Nel frattempo si propose di pubblicare tutte le sue poesie, dal primo libretto in lingua friulana del 1942 al volume che non ancora era stato pubblicato Trasumanar e organizzar, e intitolarlo Bestemmia.

All’inizio del 1971 realizzò un documentario, dal titolo 12 dicembre, con la collaborazione di alcuni impegnati di “Lotta continua” sul tema della strage alla Banca dell’Agricoltura di Milano e a marzo presta il suo nome come direttore responsabile dello stesso quotidiano. Ad aprile venne denunciato per “istigazione a delinquere e apologia del reato”, ma non dimostrò di essere preoccupato e scrisse:

« Se mi mettono in carcere, non me ne importa affatto. È una cosa di cui non mi curo: per me non fa nessuna differenza, nemmeno dal punto di vista economico. Se finirò in prigione, avrò modo di leggere tutti i libri che altrimenti non sarei mai riuscito a leggere. »

Scrisse nel frattempo una recensione a “Satura” di Montale e in aprile uscì la sua ultima raccolta di poesie Trasumanar e organizzar accolta da lettori e critici distratti.
Si accinse a scrivere la sceneggiatura dei Racconti di Canterbury tratti da Chaucer e il 28 giugno al Festival di Berlino, “Il Decameron” ottenne il secondo premio.

Sempre nel giugno 1971 fu tra i firmatari di un documento pubblicato su l’Espresso che denunciavano commissario Calabresi come «un torturatore», «responsabile della morte di Pinelli»[11][12].

Nel 1972, accolto dalla solita indifferenza da parte della critica, pubblicò la raccolta di saggi Empirismo eretico e continuò a lavorare al romanzo, Petrolio, del quale, in tre anni, aveva compilato più di cinquecento pagine dattiloscritte e che pensò dovesse impegnarlo: “forse per il resto della mia vita”.

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Petrolio (romanzo).

Intanto, dopo le nove settimane impegnate alle riprese in Inghilterra di “Canterbury”, iniziò durante l’estate, senza attendere che il film uscisse nelle sale, a lavorare alla terza parte della trilogia tratta dalle novelle delle Mille e una notte e fece diversi sopralluoghi in Egitto nello Yemen, in Persia, in India e in Eritrea.

La collaborazione con giornali e riviste [modifica]

A novembre iniziò a collaborare con il settimanale Tempo illustrato occupandosi di recensioni letterarie che usciranno nel volume postumo, Descrizioni di descrizioni.
All’inizio del 1973 accettò di collaborare al Corriere della Sera e il 7 gennaio uscì il primo articolo, Contro i capelli lunghi, che avviò una ininterrotta serie di interventi riguardo l’ambito politico, il costume, il comportamento pubblico e privato. Questi articoli saranno raccolti nel volume Scritti corsari[13].

Documentari e testi per il teatro [modifica]

Iniziarono nel frattempo le riprese del Fiore delle mille e una notte a Isfahan, in Iran. Il lavoro procedette con precisione e velocità tanto che l’autore riuscì a girare nel frattempo un documentario, Le mura di Sana’a, che voleva essere un appello all’Unesco perché salvaguardasse l’antica città yemenita.

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Le mura di Sana’a.

Nel settembre dello stesso anno uscirono due testi per il teatro, Calderón e Affabulazione.

Alla fine dell’anno lo scrittore aveva già in mente il progetto per un nuovo film dal titolo provvisorio Porno-teo-kolossal al quale avrebbe dovuto partecipare tra i protagonisti Eduardo De Filippo.

Il fiore delle Mille e una notte uscì nelle sale all’inizio del 1974 e ottenne un gran successo, anche se il giudizio della critica non soddisfece l’autore.

La polemica politica e i saggi [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Pier Paolo Pasolini (saggista).

Durante l’estate scrisse una lunga appendice al dramma in versi Bestia da stile.

« L’Italia è un paese che diventa sempre più stupido e ignorante. Vi si coltivano retoriche sempre più insopportabili. Non c’è del resto conformismo peggiore di quello di sinistra, soprattutto naturalmente quando viene fatto proprio anche dalla destra[14] »

Scrisse anche altri testi de La nuova gioventù e pubblicò, in seguito al referendum sul divorzio, l’articolo Gli italiani non sono più quelli.

Il male radicale [modifica]

Interessato al progetto del film tratto da Sade si mise a studiare intensamente il kantianomale radicale” che riduce l’umanità nella schiavitù del consumismo e che corrompe, manipolandole, le anime insieme ai corpi; e per spiegare meglio questa concezione, Pasolini analizzò il suo caso personale e descrisse le sue angosce:

« Un omosessuale oggi in Italia è ricattato e ricattabile, arriva anche a rischiare la vita tutte le notti. »

Il 19 gennaio uscì sul Corriere della Sera il suo articolo “Sono contro l’aborto” che suscitò altre polemiche. Ai primi di febbraio terminò la sceneggiatura del film che non sarà mai realizzato, Il padre selvaggio e a metà dello stesso mese iniziarono nel mantovano le riprese di Salò o le centoventi giornate di Sodoma.

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Salò o le centoventi giornate di Sodoma.

Scrisse alcuni articoli sul settimanale Il Mondo che andranno a far parte del volume postumo Lettere luterane.

Nel mese di maggio uscì il volume Scritti corsari che raccoglieva tutti gli articoli scritti per il Corriere della Sera dal 7 gennaio 1974 al 18 febbraio 1975 con una sezione “Documenti allegati”, nella quale vengono raccolti alcuni scritti di critica che erano apparsi sul settimanale Tempo dal 10 giugno al 22 ottobre 1974.

Sempre in maggio vide le stampe La nuova gioventù, che era una riproduzione dell’opera La meglio gioventù, e durante l’estate Pasolini lavorò al montaggio di Salò.

La trilogia della vita [modifica]

A ottobre uscirono le sceneggiature della Trilogia della vita con alcune pagine di introduzione Abiura dalla Trilogia della vita e consegnò a Einaudi La Divina Mimesis.
Si recò quindi a Stoccolma per un incontro all’Istituto italiano di cultura e al ritorno si fermò a Parigi per rivedere l’edizione francese di Salò: il 31 ottobre ritornò a Roma.

La torre di Chia a Soriano nel Cimino [modifica]

La Torre di Chia

Pier Paolo Pasolini si affezionò molto al paese di Soriano nel Cimino in provincia di Viterbo e proprio per questo motivo decise di viverci per alcuni anni; vi soggiornò sempre più spesso negli ultimi anni della sua vita.

Nella primavera del 1964, dopo aver visionato molti luoghi, per ricostruire la scena del Battesimo di Gesù nel fiume Giordano nel film Il Vangelo secondo Matteo, Pasolini si fermò a Chia, nei pressi di Soriano nel Cimino, e ambientò la scena nel suggestivo panorama di una valle ricca di vecchi mulini ed attraversata da uno spumeggiante torrente, dai ruderi di una vecchia torre medioevale, chiamata la Torre di Chia, che divenne poi, nell’autunno del 1970, di sua proprietà[15].

Nel 1966 il regista scrisse:

« (…) ebbene ti confiderò, prima di lasciarti, che io vorrei essere scrittore di musica, vivere con degli strumenti dentro la torre di Soriano nel Cimino che non riesco a comprare, nel paesaggio più bello del mondo, dove l’Ariosto sarebbe impazzito di gioia nel vedersi ricreato con tanta innocenza di querce, colli, acque e botri, e lì comporre musica, l’unica azione espressiva forse, alta, ed indefinibile come le azioni della realtà »
( Pier Paolo Pasolini)

Pasolini durante i suoi anni a Soriano nel Cimino lottò anche per il riconoscimento statale dell’Università della Tuscia, allora ancora Libera Università della Tuscia.

Amicizia con Marco Pannella e i Radicali [modifica]

Pur dichiarandosi comunista fino alla fine dei suoi giorni, Pasolini dedicò a Marco Pannella ed ai Radicali una grande attenzione.
Nel 1974 ed il 1975 scrisse numerosi pezzi sul Corriere della Sera e su altri quotidiani dedicati alle battaglie radicali ed agli scioperi della fame di Marco Pannella, tra cui il famosissimo articolo “Il fascismo degli antifascisti”[16] (uscito sul Corriere del 16 luglio 1974).

L’aspetto più rilevante di questa sua simpatia per i Radicali è però un altro: prima d’essere ucciso, nella notte tra il ed il 2 novembre 1975, Pier Paolo scrisse quello che diverrà il suo ultimo documento pubblico. Si tratta del testo del suo intervento che avrebbe dovuto tenere in quei giorni al 15° Congresso del Partito Radicale:

« Cari Pannella, caro Spadaccia, cari amici radicali […] voi non dovete fare altro (io credo) che continuare semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili. Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare »
(Testo dell’intervento di Pier Paolo Pasolini preparato per il 15° congresso del Partito Radicale[17][18])

La morte [modifica]

« La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un’epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile. »

Il monumento a Pasolini ad Ostia

Nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975 Pasolini venne ucciso in maniera brutale: battuto a colpi di bastone e travolto con la sua auto sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia, località del Comune di Roma.

Il cadavere massacrato venne ritrovato da una donna alle 6 e 30 circa. Sarà l’amico Ninetto Davoli a riconoscerlo.

L’omicidio fu attribuito ad un “ragazzo di vita”, Pino Pelosi di Guidonia, nei pressi di Tivoli, di soli diciassette anni, che prontamente si dichiarò unico colpevole.

Secondo la propria versione, egli avrebbe incontrato Pasolini presso la Stazione Termini, il quale lo avrebbe invitato a salire sulla sua vettura, un’Alfa Romeo Giulia GT, per fare un giro insieme. Dopo una cena offerta dallo scrittore, in una trattoria nei pressi della Basilica di San Paolo, i due si sarebbero diretti alla periferia di Ostia. Stando alla dichiarazione del giovane, la tragedia sarebbe scaturita per delle presunte pretese di carattere sessuale di Pasolini alle quali Pelosi era riluttante, sfociando in un alterco che sarebbe degenerato fuori dalla vettura. Lo scrittore avrebbe quindi minacciato Pelosi con un bastone del quale il giovane si sarebbe poi impadronito per percuotere Pasolini.

La versione fu riportata dal telegiornale RAI il giorno dopo il delitto, violando le norme sul segreto istruttorio e venendo meno al carattere consueto di asetticità su temi sconvenienti all’allora etichetta televisiva.

La tesi difensiva presentava evidenti falle: il bastone di legno marcio non sarebbe potuto risultare arma contundente; la corporatura esile di Pelosi non avrebbe potuto aver ragione su Pasolini, esperto di arti marziali, a meno di riportare ferite ed ecchimosi che di fatto erano assenti.

Pelosi venne condannato in primo grado per omicidio in concorso con ignoti e nel dicembre del 1976, con sentenza della Corte d’Appello, venne confermata la condanna.

Pelosi ha mantenuto invariata la sua assunzione di colpevolezza fino al maggio 2005, quando, a sorpresa, nel corso di un’intervista televisiva[19], affermando di non essere stato l’autore del delitto di Pier Paolo Pasolini, ha dichiarato che l’omicidio sarebbe stato commesso da altre tre persone. Ha fatto i nomi dei suoi complici solo in un’intervista del 12 settembre 2008 pubblicata sul saggio d’inchiesta di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza “Profondo Nero” (Chiarelettere 2009). Ha aggiunto inoltre di aver celato questa sua verità per timore di mettere a rischio l’incolumità della propria famiglia.

Le circostanze della morte di Pasolini non sono ad oggi ancora state chiarite. Contraddizioni nelle deposizioni rese dall’omicida, un “chiacchierato” intervento dei servizi segreti durante le indagini e alcuni passaggi a vuoto o poco coerenti riscontrati negli atti processuali, sono fattori che – come hanno ripetutamente sottolineato negli anni seguenti gli amici più intimi di Pasolini (particolarmente Laura Betti) – lasciano aperte le porte a più di un dubbio.

A prescindere dai fatti e dalle reali responsabilità che hanno condotto alla sua morte, la fine di Pasolini sembra essere emblematica, al punto che alcuni hanno paragonato la sua morte a quella di Caravaggio:

« Secondo me c’è una forte affinità fra la fine di Pasolini e la fine di Caravaggio, perché in tutt’e due mi sembra che questa fine sia stata inventata, sceneggiata, diretta e interpretata da loro stessi. »

Il parco ed il monumento a Pasolini ad Ostia

Per lungo tempo l’opinione pubblica venne tenuta all’oscuro sugli sviluppi delle indagini e del processo, restando del parere di un delitto scaturito in “circostanze sordide”. Due settimane dopo il delitto apparve un articolo della giornalista fiorentina Oriana Fallaci, dove si ipotizzava una premeditazione ed un concorso di ignoti ma nel frattempo i due protagonisti erano spariti dalla cronaca. Dieci anni dopo, i mezzi di informazione iniziarono a sostenere l’ipotesi della Fallaci, dipingendo il Pelosi come “ragazzo di vita”, abitudinario della Stazione Termini, rilevato da Pasolini come esca per un’eventuale azione punitiva sui quali mandanti si immaginano avversari politici o malavitosi, ai quali lo scrittore avrebbe fatto dello sgarbo per dei tentativi altruistici di portare dei giovani fuori dalla strada.

Il film di Marco Tullio Giordana esce nel ventennale del delitto. Nella storia dove viene riportato l’iter dell’inchiesta che demolisce definitivamente la versione difensiva del Pelosi. Emergono testimonianze ad indicare un’estraneità del giovane dall’ambiente della prostituzione maschile.

A trent’anni dalla morte, assieme alla ritrattazione del Pelosi emerge la testimonianza di Sergio Citti, amico e collega di Pasolini, su una sparizione di copie dell’ultimo film Salò e su un eventuale incontro con dei malavitosi per trattare la restituzione. Sergio Citti morirà alcune settimane dopo.

La tomba di Pier Paolo Pasolini, a Casarsa

Un’ipotesi molto più inquietante lo collega invece alla “lotta di potere” che prendeva forma in quegli anni nel settore petrolchimico, tra Eni e Montedison, tra Enrico Mattei e Eugenio Cefis. Pasolini, infatti, si interessò al ruolo svolto da Cefis nella storia e nella politica italiana: facendone uno dei due personaggi “a chiave”, assieme a Mattei, di Petrolio, il romanzo-inchiesta (uscito postumo nel 1992) al quale stava lavorando poco prima della morte. Pasolini ipotizzò, basandosi su varie fonti, che Cefis alias Troya (l’alias romanzesco di Petrolio) avesse avuto un qualche ruolo nello stragismo italiano legato al petrolio e alle trame internazionali. Secondo autori recenti[21] e secondo alcune ipotesi giudiziarie suffragate da vari elementi, fu proprio per questa indagine che Pasolini fu ucciso[22]. Il 1º aprile 2010, l’avvocato Stefano Maccioni e la criminologa Simona Ruffini hanno raccolto la dichiarazione di un nuovo testimone che potrebbe aprire nuove piste investigative[23].

Pasolini riposa nel cimitero di Casarsa della Delizia (Pordenone).

Riconoscimenti [modifica]

A Pier Paolo Pasolini è intitolata la biblioteca comunale del Municipio XII a Spinaceto (Roma)[24].

L’Amministrazione comunale di Ciampino, nel 1997, gli ha dedicato la Biblioteca Comunale[25][26]. Dal dicembre del 1951 alla fine del 1954 Pasolini insegnò a Ciampino alla scuola media di via Pignatelli, ora non più esistente; tra i suoi allievi vi fu Vincenzo Cerami, illustre scrittore, giornalista e sceneggiatore, che iniziò a lavorare come assistente di Pasolini. All’inaugurazione attesero l’allora sindaco Antonio Rugghia, Walter Veltroni e Willer Bordon (il primo a quei tempi Vice Presidente del Consiglio dei ministri e Ministro dei Beni Culturali e il secondo Sottosegretario ai Beni Culturali).

Omaggi [modifica]

Musicali [modifica]

  • Lamento per la morte di Pasolini, canzone scritta da Giovanna Marini nel dicembre del 1975, ricalca la narrazione per orario tipica del modo narrativo popolare, e in particolare il modulo di un canto religioso extra-liturgico abruzzese, L’orazione di San Donato.
  • Il soldato di Napoleone (1963), canzone scritta da Sergio Endrigo su testo di Pier Paolo Pasolini.
  • Una storia sbagliata del 1980, scritta da Fabrizio De André e Massimo Bubola. A proposito di questa canzone De André ha detto: «Nel testo di Una storia sbagliata rievoco la tragica vicenda di Pier Paolo Pasolini. È una canzone su commissione, forse l’unica che mi è stata commissionata. Mi fu chiesta come sigla per due documentari-inchiesta sulle morti di Pasolini e Wilma Montesi».
  • A Pà, canzone scritta da Francesco De Gregori (Scacchi e tarocchi, 1985).
  • Il compositore Roberto De Simone, nel 1985, compone un Requiem in memoria di Pier Paolo Pasolini.
  • Ostia (The Death Of Pasolini), canzone interpretata dal duo Coil, contenuta nell’album Horse Rotorvator (1986), del genere musicale industrial.
  • Pier Paolo, opera, prima rappresentazione assoluta nel 23 maggio del 1987 al Teatro dell’Opera di Kassel[27] (testo di Gerd Uecker e musica di Walter Haupt)
  • Renato Zero nell’album Quando non sei più di nessuno del 1993 canta Casal de’ Pazzi, una canzone ispirata all’opera del regista poeta.
  • Scott Walker nell’album intitolato Tilt del 1995, dedica a Pasolini il brano Farmer in the city.
  • Il gruppo italo-nippo-americano Blonde Redhead ha inciso in ricordo di Pasolini la canzone Pier Paolo, contenuta nell’album Fake can be just as good (1997).
  • Il cantante inglese Morrissey, cita Pasolini nella canzone You have killed me tratta dal suo album Ringleader of the Tormentors (2006).
  • Il cantautore Flavio Giurato, nel suo ultimo album Il Manuale del Cantautore (Interbeat 2007).
  • Linda Valori interpreta il branco Pasolini Scrive (2008), scritto da Maurizio Fabrizio.
  • Nel pezzo Baudelaire dall’album Amen (2008) dei Baustelle Pasolini è citato come esempio di impegno sociale e culturale.
  • La compilation Songs For A Child – A Tribute To Pier Paolo Pasolini, con contributi di artisti provenienti dal mondo europeo della musica underground
  • il brano Ciant, dell’album Distances (ECM, 2008) nominato al Grammy, ideato dal pianista friulano Glauco Venier e interpretato dalla cantante inglese Norma Winstone, unisce il testo della poesia Ciant da li ciampanis alla musica di Erik Satie.

Cinematografici [modifica]

Letterari e fumetti [modifica]

  • Le ceneri di Pasolini, fumetto grafico di Graziano Origa, tre tavole in bianco e nero a pennino e china, pubblicato nel periodico Contro, n. 6, marzo 1976.
  • Il fumettista Davide Toffolo ha pubblicato un romanzo a fumetti, Intervista a Pasolini, a lui dedicato. Un viaggio-intervista fantastico tra i luoghi e i pensieri del poeta friulano.
  • Il giovane scrittore Alcide Pierantozzi ha dedicato alla sua memoria il suo primo romanzo, Uno in diviso, pubblicato nel 2006.
  • Il delitto Pasolini di Gianluca Maconi edito da Becco Giallo nell’ottobre 2005.

Altri omaggi [modifica]

  • Lo scrittore e autore televisivo Carlo Lucarelli nel 2005 ha dedicato una puntata della trasmissione televisiva Blu Notte – Misteri Italiani alla morte del poeta, ricostruendone i fatti e indagandone il caso. La trasmissione andò in onda sulla RAI il 9 ottobre 2005, in prossimità del trentennale dell’omicidio di Pasolini (2.11.1975).
  • La poetessa e drammaturga Maura Del Serra gli ha dedicato il testo teatrale: Trasumanar. L’atto di Pasolini, in “L’Ulisse. Rivista di poesia, arti e scritture”, n. 10 (Poesia e teatro, teatro di poesia, vol. II), maggio 2008.

Opere [modifica]

Poesia [modifica]

Traduzioni poetiche [modifica]

Dal latino [modifica]

Dal francese [modifica]

In friulano [modifica]

Dal greco al friulano [modifica]

  • Tre frammenti di Saffo, in Massimo Fusillo, La Grecia secondo Pasolini. Mito e cinema, La Nuova Italia, Firenze 1996, pp. 243-244.

Narrativa [modifica]

  • Ragazzi di vita, Garzanti, Milano 1955 (nuova edizione: Einaudi, Torino 1979, con un’appendice contenente Il metodo di lavoro e I parlanti).
  • Una vita violenta, Garzanti, Milano 1959 (nuova edizione: Einaudi, Torino 1979).
  • L’odore dell’India, Longanesi, Milano 1962 (nuova edizione Guanda, Parma 1990, con un’intervista di Renzo Paris ad Alberto Moravia).
  • Il sogno di una cosa, Garzanti, Milano 1962.
  • Alì dagli occhi azzurri, Garzanti, Milano 1965.
  • Teorema , Garzanti, Milano 1968.
  • La Divina Mimesis, Einaudi, Torino 1975 (nuova edizione 1993, con una nota introduttiva di Walter Siti).
  • Amado mio preceduto da Atti impuri, con uno scritto di A. Bertolucci, edizione a cura di Concetta D’Angeli, Garzanti, Milano 1982.
  • Petrolio, a cura di Maria Careri e Graziella Chiarcossi, con una nota filologica di Aurelio Roncaglia, Einaudi, Torino 1992.
  • Un paese di temporali e di primule, a cura di Nico Naldini, Guanda, Parma 1993 (oltre a racconti, contiene saggi di argomento friulano).
  • Romàns, seguito da Un articolo per il «Progresso» e Operetta marina, a cura di Nico Naldini, Guanda, Parma 1994.
  • Storie della città di Dio. Racconti e cronache romane (19501966), a cura di Walter Siti, Einaudi, Torino 1995.
  • Romanzi e racconti, 2 voll., a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, con due saggi di W. Siti, Mondadori, Milano 1998.
  • Petrolio, a cura di Silvia De Laude, con una nota filologica di Aurelio Roncaglia, Mondadori, Milano 2005.

Sceneggiature e testi per il cinema [modifica]

Teatro [modifica]

Traduzioni teatrali [modifica]

Saggi [modifica]

  • Passione e ideologia (19481958), Garzanti, Milano 1960 (nuove edizioni Einaudi, Torino 1985, con un saggio introduttivo di C. Segre, e Garzanti, Milano 1994, con prefazione di A. Asor Rosa).
  • Empirismo eretico, Garzanti, Milano 1972.
  • Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975 (nuova edizione 1990, con prefazione di A. Berardinelli).
  • Volgar’eloquio, a cura di Antonio Piromalli e Domenico Scafoglio, Athena, Napoli, 1976
  • Lettere luterane, Einaudi, Torino, 1976; con un’introduzione di Alfonso Berardinelli, 2003.
  • Descrizioni di descrizioni, a cura di Graziella Chiarcossi, Einaudi, Torino 1979 (nuova edizione Garzanti, Milano 1996, con una prefazione di Giampaolo Dossena).
  • Il Portico della Morte, a cura di Cesare Segre, «Associazione Fondo Pier Paolo Pasolini», Garzanti Milano 1988.
  • Antologia della lirica pascoliana. Introduzione e commenti, a cura di Marco Antonio Bazzocchi, saggio introduttivo di M. A. Bazzocchi ed Ezio Raimondi, Einaudi, Torino 1993.
  • I film degli altri, a cura di Tullio Kezich, Guanda, Parma 1996.
  • Poesia dialettale del Novecento, a cura di Mario dell’Arco e Pier Paolo Pasolini, introduzione di Pasolini, Guanda, Parma 1952 (nuova edizione Einaudi, Torino 1995, con prefazione di Giovanni Tesio).
  • Canzoniere italiano. Antologia della poesia popolare, a cura di Pier Paolo Pasolini, Guanda, Parma 1955 (nuova edizione Garzanti, Milano 1972 e 1992).
  • Pier Paolo Pasolini e il setaccio 1942-1943, a cura di Mario Ricci, Cappelli, Bologna 1977, con scritti di Roberto Roversi e Gianni Scalia (contiene i seguenti saggi pasoliniani: «Umori» di Bartolini; Cultura italiana e cultura europea a Weimar; I giovani, l’attesa; Noterelle per una polemica; Mostre e città; Per una morale pura in Ungaretti; Ragionamento sul dolore civile; Fuoco lento.Collezioni letterarie; Filologia e morale; Personalità di Gentilini; «Dino» e «Biografia ad Ebe»; Ultimo discorso sugli intellettuali; Commento a un’antologia di «lirici nuovi»; Giustificazione per De Angelis; Commento allo scritto del Bresson; Una mostra a Udine).
  • Stroligut di cà da l’aga (1944) – Il Stroligut (19451946) – Quaderno romanzo (1947), riproduzione anastatica delle riviste dell’Academiuta friulana, a cura del Circolo filologico linguistico padovano, Padova, 1983 (contiene i seguenti saggi pasoliniani: Dialet, lenga e stil; Academiuta di Lenga Furlana; Alcune regole empiriche d’ortografia; Volontà poetica ed evoluzione della lingua).
  • Saggi sulla letteratura e sull’arte, 2 voll., in cofanetto, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, con un saggio di Cesare Segre, Mondadori, Milano, 1999.
  • Saggi sulla politica e sulla società, a cura di Walter Siti e Silvia De Laude, con un saggio di Piergiorgio Bellocchio, Mondadori, Milano 1999.

Programmi radiofonici [modifica]

Dialoghi con i lettori [modifica]

Filmografia [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Opere cinematografiche di Pier Paolo Pasolini.

Bibliografia critica [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Bibliografia su Pier Paolo Pasolini.

Nella critica di tutto il mondo l’opera di Pier Paolo Pasolini ha suscitato e continua a suscitare enorme interesse e la bibliografia della critica riguardante l’autore è vastissima.

Note [modifica]

  1. ^ a b Ritratti su misura, a cura di Elio Filippo Accrocca, Venezia, Sodalizio del Libro, 1960
  2. ^ a b Da Le lettere di Pasolini, a cura di Nico Naldini, Editore Einaudi, 1988, vol. I
  3. ^ Pasolini, il posto delle lucciole da La Stampa.it
  4. ^ Nota bibliografica di Graziella Chiarcossi in Petrolio per Mondadori 2005
  5. ^ Scheda su Giovani mariti dell’Internet Movie Database
  6. ^ (FR) André Chamson sulla Wikipedia francese
  7. ^ Cittadella On line
  8. ^ Alberto Moravia, L’uomo medio sotto il bisturi, “L’espresso”, 3 marzo 1963
  9. ^ pasolini.net: “Il P.C.I. ai giovani!!”
  10. ^ pasolini.net: tavola rotonda
  11. ^ “I falsi profeti del Sessantotto” di Michele Brambilla
  12. ^ “Caso Calabresi” di Antonio Socci
  13. ^ Audiolettura di tre articoli degli Scritti corsari
  14. ^ da l’Appendice a Bestia da stile, Garzanti, 1979
  15. ^ I luoghi di Pasolini. URL consultato il 29-04-2010.
  16. ^ Dal libro Scritti corsari, pagina 65, edito da Garzanti
  17. ^ Dal libro Uno shock radicale per il 21° secolo di Daniele Capezzone, pagina 190
  18. ^ Rilettura dell’intervento di Pier Paolo Pasolini al 15° Congresso del Partito Radicale (Canale YouTube di Radio Radicale
  19. ^ Fonte:Corriere della Sera
  20. ^ italialibri.net: “Pasolini secondo Federico Zeri”
  21. ^ ‘Borgna e Lucarelli: Così morì Pasolini’ su MicroMega
  22. ^ cfr. per esempio il volume di Gianni D’Elia, Il petrolio delle stragi, Effigie, Milano 2006, nonché Giallo Pasolini di Carla Benedetti su L’Espresso.
  23. ^ Fonte: [1]
  24. ^ Biblioteca Pier Paolo Pasolini. URL consultato il 03-05-2010.
  25. ^ Biblioteca comunale di Ciampino Pier Paolo Pasolini. URL consultato il 03-05-2010.
  26. ^ Ubicata in Via 4 novembre
  27. ^ (DE)Opera di Kassel sulla Wikipedia tedesca

Voci correlate [modifica]

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Opere di Pier Paolo Pasolini

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Petrolio (romanzo)

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Petrolio
Autore Pier Paolo Pasolini
1ª ed. originale 1992
Genere romanzo
Protagonisti Carlo

Petrolio è un romanzo di Pier Paolo Pasolini, rimasto incompiuto, pubblicato postumo nel 1992 da Einaudi.

La prima ideazione dell’opera risale alla primavera del 1972 e su di esso Pasolini lavorerà fino alla morte, avvenuta nel 1975.

Di Petrolio sono rimaste 522 pagine scandite in “Appunti” con una numerazione progressiva che si configurano in un insieme di frammenti più o meno estesi e di soli titoli.

Indice

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Trama [modifica]

Protagonista del romanzo è Carlo, ingegnere della borghesia torinese nato nel 1932 e laureatosi a Bologna nel 1956, che lavora all’ENI ed è un brillante cattolico comunista. Il personaggio di Carlo è però sdoppiato: esiste infatti un Carlo che è Carlo di Polis, angelico e sociale, e un Carlo di Tetis, diabolico e sensuale. Apparentemente le due metà del personaggio sembrano possedere vite diverse, ma in realtà si scambiano spesso i ruoli e risultano così come una stessa persona, simbolo della contraddittorietà.

L’opera si apre con un “Appunto 1” che possiede solamente il titolo: Antefatti. Segue l'”Appunto 2″ dal sottotitolo La prima rosa dell’Estate dove Carlo si trova a Roma, nella casa che ha affittato ai Parioli in attesa che il padre lo raggiunga. Sulla scena, che si svolge nel maggio del 1960, si affaccia il neo-capitalismo.
Con l'”Appunto 7″ la scena si sposta nella villa del Canavese. Carlo è rientrato a Torino, fa carriera nell’ENI in mezzo ad un mondo politicoeconomico sporco e losco, compie un viaggio in Oriente e ha rapporti sessuali con la madre, le sorelle, la nonna, le serve.

Il momento cruciale del “poema” (come spesso lo definisce l’autore) si ha con l'”Appunto 51″ quando Carlo, guardandosi allo specchio, si accorge di essere diventato una donna.

Nel lungo “Appunto” 55″ intitolato “Il pratone della Casilina” Carlo, sullo sfondo della periferia romana, consuma un rapporto orale con venti ragazzi con la ripetitività di un rito.
Ancora Carlo ha un’esperienza passiva con il cameriere Carmelo del quale è sottomesso in un rapporto completo che fa della passività e dell’essere posseduto il massimo atto di realizzazione. In questo modo la trasformazione in donna di Carlo fanno da preludio alla scelta: l’eroe riceve nel proprio corpo la Grazia (lo sperma) e risulta così l’eletto. Segue una visione che prende la forma di “stazione” che è tra il teatrale e il cinematografico. Il protagonista è un giovane proletario, Merda, e attraverso innumerevoli tappe viene illustrata in forma allegorica quella che è, secondo Pasolini, la crisi italiana e in particolare la degradazione della gioventù con un andamento dantesco.

La prima parte del romanzo termina con un ricevimento ufficiale dove sono presenti tutti i notabili e gli uomini politici del presente che raccontano storie allegoriche.

La seconda parte è molto frammentaria e i materiali sono pochi: una festa ispirata a Dostoevskij intitolata I dèmoni e una passeggiata del protagonista in campagna e poi nella periferia della città che ha per titolo I Godoari, tratto dal nome di un popolo barbaro che è presente nel romanzo La villa romana di Anna Banti. Il motivo principale è quello dell’ultimo Pasolini e cioè la denuncia della “trasformazione-involuzione” dell’Italia contemporanea.

Costruzione del testo e linguaggio [modifica]

Pasolini accompagna il manoscritto di Petrolio con una lettera ad Alberto Moravia, datata 10 gennaio 1975, nella quale scrive dell’ideazione del romanzo:

« Ho iniziato un libro che mi impegnerà per anni, forse per il resto della mia vita. Non voglio parlarne, però: basti sapere che è una specie di “summa” di tutte le mie esperienze, di tutte le mie memorie »

Successivamente chiarisce il tipo di taglio narrativo che vuole dare al romanzo (metanarrativo e antinarrativo):

« È un romanzo, ma non è scritto come sono scritti i romanzi veri: la sua lingua è quella che si adopera per la saggistica, per certi articoli giornalistici, per le recensioni, per le lettere private o anche per la poesia »

Nel leggere infatti i frammenti di Petrolio si osserva che la lingua è ora raziocinante e precisa, spesso saggistica, ora lirica, a volte elementare, a volte estremamente elaborata. Nel progetto dell’autore l’opera avrebbe dovuto raggiungere ogni estremo della forma fino a quello illeggibile delle pagine in greco o giapponese.

Ideologia [modifica]

Petrolio appare debitore al modello della commedia dantesca, con la sua satira e la dura denuncia della politica contemporanea. L’ideologia, fulcro dell’opera, è quella politico-sessuale e il tema principale è il potere e il male.

Molte sono nel romanzo le suggestioni di carattere medioevale e tutta l’opera si appoggia a strutture di carattere mitologico, come quella degli Argonauti o di Tiresia maschio e femmina avvicinandosi anche allo schema moderno dell’Ulisse di Joyce (anche se Pasolini ne rifiutava, come si può leggere nell’appunto-elenco “la scrittura”).

Pasolini scrive che questa sua opera si sarebbe presentata “sotto forma di edizione critica di un testo inedito”, finzione che la morte improvvisa dell’autore ha reso reale.

Il capitolo scomparso [modifica]

Il 2 marzo 2010 è stato annunciato da Marcello Dell’Utri il ritrovamento di uno dei capitoli scomparsi del romanzo Petrolio. Il capitolo era sparito dalle carte del manocritto, e pertanto esso fu pubblicato con un ammanco. Il capitolo doveva essere mostrato all’apertura della XXI mostra del libro antico di Milano.[1] Il capitolo, tuttavia, non è stato mai presentato alla mostra.[2] Walter Veltroni ha presentato un’interpellanza parlamentare al Ministro della Cultura Bondi.[3]

Note [modifica]

  1. ^ «Dell’Utri: ho io il Pasolini scomparso». La Stampa, 02-03-2010. URL consultato in data 24-03-2010.
  2. ^ Maria Elena Tanca. «Milano: la Mostra del libro antico inaugurata senza il Pasolini scomparso». NewNotizie.it, 12-03-2010. URL consultato in data 24-03-2010.
  3. ^ Redazione online. «Giallo su un manoscritto di Pasolini «Adesso indaghino i carabinieri»». Corriere della Sera, 19-03-2010. URL consultato in data 24-03-2010.

Edizioni [modifica]

Bibliografia [modifica]

Collegamenti esterni [modifica]

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Opere di Pier Paolo Pasolini

Opere letterarie Ragazzi di vita · Le ceneri di Gramsci · Una vita violenta · Petrolio · Affabulazione · Passione e ideologia · Lettere luterane · Scritti corsari · La religione del mio tempo · Il sogno di una cosa Fotografia di Pier  Paolo Pasolini
Opere cinematografiche Accattone · Mamma Roma · La ricotta · La rabbia · Comizi d’amore · Il Vangelo secondo Matteo · Uccellacci e uccellini · La Terra vista dalla Luna · Che cosa sono le nuvole? · Edipo re · Appunti per un film sull’India · Teorema · La sequenza del fiore di carta · Porcile · Appunti per un’Orestiade africana · Medea · Il Decameron · Le mura di Sana’a · I racconti di Canterbury · Il fiore delle Mille e una notte · Salò o le 120 giornate di Sodoma · Porno-Teo-Kolossal (opera incompiuta)

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Subcomandante Marcos en Salamanca 050.jpg

Il Subcomandante Marcos

Il subcomandante Marcos (…) è un rivoluzionario messicano, portavoce dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Esistono, secondo una stima approssimativa, 76 comandanti, ma un solo subcomandante. Questo perché i comandanti hanno un mandato affidato loro dalle assemblee popolari e in qualsiasi momento il loro titolo potrebbe essere revocato; il subcomandante invece comanda l’esercito e per questo motivo si trova in una posizione gerarchica più alta.

Oltre al passamontagna, porta generalmente un fazzoletto rosso legato al collo ed una pipa in bocca. È identificabile rispetto agli altri comandanti zapatisti da questi due elementi.

Il bastone con il quale talvolta appare è il bastone del comando della milizia dell’EZLN, affidatogli dai comandanti. Attualmente vive in clandestinità con la milizia, sulle montagne del Chiapas.

Il nome “Marcos” sarebbe l’acronimo di alcuni dei comuni occupati dagli zapatisti nel gennaio 1994: Margaritas, Altamirano, Rancho Nuevo, Comitán, Ocosingo, San Cristobal (anche se Comitán non fu conquistata dagli zapatisti. Secondo una versione simile, la “C” identificava la comunità di Chanal).

Indice

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L’identità di Marcos secondo il governo messicano [modifica]

Il subcomandante Marcos con il comandante Tacho

Sebbene Marcos (o il sup) compaia pubblicamente soltanto con il volto coperto da un passamontagna, il governo messicano il 9 febbraio 1995 ha dichiarato di averlo identificato nella persona di Rafael Sebastián Guillén Vicente (Tampico, Messico, 19 giugno 1957), un ex-ricercatore dell’università di Città del Messico.

Guillén è nato in Messico; figlio di immigrati spagnoli, ha studiato in una scuola gesuita a Tampico, dove presumibilmente è entrato in contatto con la teologia della liberazione. In seguito si è trasferito nel Distretto Federale (Distrito Federal, o D.F., nome con il quale popolarmente si indica Città del Messico, che costituisce uno stato a sé nella Confederazione messicana) dove si è laureato in filosofia all’Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM) con una tesi dal titolo “Filosofía y educación: prácticas discursivas y prácticas ideológicas en libros de texto de primaria”. In seguito, ha lavorato come professore all’Universidad Autónoma Metropolitana.

Marcos ha sempre negato di essere Rafael Guillén. La famiglia di quest’ultimo ha affermato di ignorare dove egli si trovi e si è rifiutata di confermare o smentire l’identificazione fatta dal governo. Durante la grande marcia, che nel 2001 ha portato gli zapatisti a Città del Messico, Marcos ha visitato l’UNAM e nel suo discorso è risultato evidente che fosse già stato in precedenza in quei luoghi.

Come molte persone della sua generazione, Marcos fu influenzato dalla Strage di Tlatelolco nel 1968 e entrò in una organizzazione maoista, passando posteriormente allo zapatismo.

Comunque, l’incontro con i movimenti indigeni del Chiapas trasformò la sua ideologia avvicinandola a visioni rivoluzionarie più postmoderniste. Altre idee che ha esposto nei suoi discorsi o azioni sono più collegate con gli ideali marxisti dell’italiano Antonio Gramsci, molto popolari in Messico quando lui studiava all’università.

Non è un errore considerare il Sub-Comandante Marcos un rivoluzionario marxista che ha saputo trasformare le rivendicazioni indios in contestazione del sistema di produzione capitalistico.

Marcos scrittore [modifica]

Un elemento non secondario della grande capacità comunicativa di Marcos – capacità che costituisce forse la ragione principale per cui il caso Chiapas è da oltre un decennio all’attenzione dei mass media – è la sua scrittura. I suoi comunicati, le sue lettere sono di pregevolissima fattura. Con lui il comunicato politico è uscito dall’angusto ambito politico per entrare in quello letterario. Vanno ricordati soprattutto due personaggi da lui creati: il vecchio Antonio e Don Durito della Lacandona. Il primo rappresenta il lato indigeno della sua cultura, mentre il secondo è espressione della cultura occidentale. Don Durito infatti è uno scarafaggio che, similmente a Don Chisciotte, pensa di essere un cavaliere errante e tratta lo stesso Marcos come fosse il suo scudiero. Di Don Durito il Premio Nobel per la letteratura Octavio Paz, certo non molto affine politicamente a Marcos, ha detto che si tratta di “un’invenzione letteraria memorabile”. Affermazione cui il Subcomandante Marcos ha replicato, con il suo personale gusto per il paradosso, “lui non è un’invenzione, è reale. Io, semmai, sono un’invenzione”.

Nel 2004 il quotidiano messicano La Jornada ha pubblicato a puntate un romanzo intitolato Morti scomodi (manca quel che manca) (Muertos incómodos) e scritto a quattro mani da Marcos e Paco Ignacio Taibo II. Pubblicato in Francia da Libération e in Italia da Carta (con traduzione di Pino Cacucci), doveva in origine avere come autore anche Manuel Vázquez Montalbán ma l’improvvisa scomparsa di quest’ultimo non ha annullato il progetto; anzi, come ha detto lo stesso Marcos, “a causa della sua assenza abbiamo concepito la nostra parte come un piccolo omaggio a don Manuel”. Nel 2005 il romanzo è stato pubblicato in Italia in volume da Marco Tropea Editore.

Bibliografia [modifica]

Del Subcomandante Marcos [modifica]

Sul Subcomandante Marcos [modifica]

Voci correlate [modifica]

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Ebadi.jpg

Shirin ʿEbādi.


Medaglia del Premio Nobel Nobel per la pace 2003

Shirin ʿEbādi (in persianoشیرین عبادی) (Hamadan21 giugno 1947) è un’avvocatopacifista iraniana.

Il 10 dicembre 2003 le fu conferito il Premio Nobel per la pace, fu la prima iraniana e la prima donna musulmana a ottenere questo riconoscimento.

Nata ad Hamadan nella parte nord-occidentale del paese. Il padre, Mohammad ʿAli ʿEbādi, era docente di diritto commerciale. Nel 1948 la famiglia si trasferì a Tehran.

Dal 1965 studiò giurisprudenza presso l’università di Tehran e subito dopo la laurea partecipò agli esami per diventare magistrato. Cominciò la sua carriera nella primavera del 1969 proseguendo nel contempo gli studi fino ad ottenere, nel 1971, un dottorato in diritto privato.

Dal 1975 al 1979 ricoprì la carica di presidente di una sezione del tribunale di Tehran.

Dopo la Rivoluzione Islamica del 1979 fu costretta, come tutte le donne giudice, ad abbandonare la magistratura e solo dopo ampie proteste, le fu riconosciuta la possibilità di collaborazione al tribunale con il ruolo di “esperta di legge”. Shirin ʿEbādi considerò la retrocessione intollerabile e per alcuni anni la sua attività fu limitata alla pubblicazione di numerosi libri e articoli. Solo nel 1992 ottenne l’autorizzazione a operare come avvocato e aprì uno studio proprio.

Nel 1994 fu una dei fondatori della “Society for Protecting the Child’s Rights” un’associazione non-governativa della quale è tuttora dirigente.

Nel 1997 ebbe un ruolo di rilievo nella campagna di sostegno del presidente riformista Mohammad Khatami.

Come avvocato è solita occuparsi di casi di liberali e dissidenti entrati in conflitto con il sistema giudiziario iraniano che resta uno dei bastioni dell’ala di governo più conservatrice. Spesso è parte civile in processi contro membri dei servizi segreti iraniani.

Nel 2000 fu accusata di disturbo alla quiete pubblica perché diffuse un video contenente la confessione di un militante di un gruppo di fondamentalisti islamici risultato segretamente ingaggiato dall’ala conservatrice del governo per spaventare i riformisti con delle spedizioni violente e intimidatorie e incursioni nelle assemblee e manifestazioni. Il processo si concluse con una condanna all’interdizione e la sospensione dall’attività di avvocato per cinque anni, la condanna fu in seguito ridotta.

Il 10 ottobre 2003 il comitato per il premio Nobel annunciò la decisione di conferirle il premio nobel per la pace.

Ha ricevuto nel 2007 il Premio Internazionale Vittorino Colombo, assegnatole dalla Fondazione Vittorino Colombo.

Attualmente Shirin ʿEbādi è docente presso l’Università di Tehran e sostenitrice attiva dei movimenti per i diritti femminili e dei bambini. Vive a Tehran con il marito e le due figlie.

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Shirin ʿEbādi.

Ebadi.jpg

Shirin ʿEbādi.


Medaglia del Premio Nobel Nobel per la pace 2003

Shirin ʿEbādi (in persianoشیرین عبادی) (Hamadan21 giugno 1947) è un’avvocatopacifista iraniana.

Il 10 dicembre 2003 le fu conferito il Premio Nobel per la pace, fu la prima iraniana e la prima donna musulmana a ottenere questo riconoscimento.

Nata ad Hamadan nella parte nord-occidentale del paese. Il padre, Mohammad ʿAli ʿEbādi, era docente di diritto commerciale. Nel 1948 la famiglia si trasferì a Tehran.

Dal 1965 studiò giurisprudenza presso l’università di Tehran e subito dopo la laurea partecipò agli esami per diventare magistrato. Cominciò la sua carriera nella primavera del 1969 proseguendo nel contempo gli studi fino ad ottenere, nel 1971, un dottorato in diritto privato.

Dal 1975 al 1979 ricoprì la carica di presidente di una sezione del tribunale di Tehran.

Dopo la Rivoluzione Islamica del 1979 fu costretta, come tutte le donne giudice, ad abbandonare la magistratura e solo dopo ampie proteste, le fu riconosciuta la possibilità di collaborazione al tribunale con il ruolo di “esperta di legge”. Shirin ʿEbādi considerò la retrocessione intollerabile e per alcuni anni la sua attività fu limitata alla pubblicazione di numerosi libri e articoli. Solo nel 1992 ottenne l’autorizzazione a operare come avvocato e aprì uno studio proprio.

Nel 1994 fu una dei fondatori della “Society for Protecting the Child’s Rights” un’associazione non-governativa della quale è tuttora dirigente.

Nel 1997 ebbe un ruolo di rilievo nella campagna di sostegno del presidente riformista Mohammad Khatami.

Come avvocato è solita occuparsi di casi di liberali e dissidenti entrati in conflitto con il sistema giudiziario iraniano che resta uno dei bastioni dell’ala di governo più conservatrice. Spesso è parte civile in processi contro membri dei servizi segreti iraniani.

Nel 2000 fu accusata di disturbo alla quiete pubblica perché diffuse un video contenente la confessione di un militante di un gruppo di fondamentalisti islamici risultato segretamente ingaggiato dall’ala conservatrice del governo per spaventare i riformisti con delle spedizioni violente e intimidatorie e incursioni nelle assemblee e manifestazioni. Il processo si concluse con una condanna all’interdizione e la sospensione dall’attività di avvocato per cinque anni, la condanna fu in seguito ridotta.

Il 10 ottobre 2003 il comitato per il premio Nobel annunciò la decisione di conferirle il premio nobel per la pace.

Ha ricevuto nel 2007 il Premio Internazionale Vittorino Colombo, assegnatole dalla Fondazione Vittorino Colombo.

Attualmente Shirin ʿEbādi è docente presso l’Università di Tehran e sostenitrice attiva dei movimenti per i diritti femminili e dei bambini. Vive a Tehran con il marito e le due figlie.

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Lev Trotsky

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Lev (Lejba) Davidovič Bronštejn

Lev (Lejba) Davidovič Bronštejn (Лев (Лейба) Давидович Бронштейн) Trockij, traslitterato come Trotsky [1] (Janovka7 novembre 1879 – Coyoacán21 agosto 1940) fu un politicorivoluzionario russo.

Fu un influente politico nella neonata Unione Sovietica, dapprima come commissario del popolo per gli affari esteri e in seguito come fondatore e comandante dell’Armata Rossa e commissario del popolo per la guerra, e membro fondatore del Politburo. Fu presidente del Soviet di Pietroburgo durante le rivoluzioni del 1905 e del 1917. Fu anche scrittore di notevoli capacità, soprannominato Penna dai compagni di partito. A seguito della lotta contro Stalin negli anni venti, fu espulso dal partito e deportato: venne ucciso in Messico da un agente sovietico. Le idee di Trotsky formano la base della corrente comunista del trotskismo.

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Biografia [modifica]

Lev Trotsky nel 1897

Nacque in una agiata famiglia di contadini ebreiJanovka, nella provincia di Kherson (Ucraina). La sua data di nascita nel calendario gregoriano è il 7 novembre – lo stesso giorno della Rivoluzione d’ottobre del 1917 (il calendario giuliano venne abolito in Russia nel 1918).

Si avvicinò agli ambienti ed alle idee rivoluzionarie già durante i suoi studi all’università di Odessa. Venne arrestato per la prima volta nel 1898 mentre lavorava come organizzatore per l’Unione Operaia della Russia Meridionale. Nel 1900 venne condannato a quattro anni di esilio in Siberia. Nel 1902 riuscì a fuggire dalla Siberia, prendendo il nome di Trotsky da un ex-carceriere di Odessa, e raggiunse Londra per unirsi a Vladimir Lenin, all’epoca redattore capo del giornale Iskra (Scintilla), organo del Partito Social Democratico Russo dei Lavoratori (PSDRL, denominazione esatta Partito Operaio Socialista Democratico Russo, sigla esatta dal russo POSDR).

Partecipò al secondo congresso del POSDR nell’estate del 1903, e nella disputa interna che divise il partito, si mise con i Menscevichi contro Lenin. Anche se la sua lealtà ai Menscevichi ebbe vita breve, il danno alle sue relazioni con Lenin sarebbe durato per i quattordici anni successivi.

Nel 1905 tornò in Russia. Il suo coinvolgimento nello sciopero generale di ottobre, con la presidenza del Soviet di San Pietroburgo e il suo appoggio alla rivolta armata, lo portarono all’arresto e a una sentenza di esilio a vita. Nel gennaio del 1907 fuggì sulla strada per l’esilio e ancora una volta trovò la via di Londra, dove partecipò al quinto congresso del partito. In ottobre si spostò a Vienna.

Nel 1912 era stato inviato dal diffuso quotidiano radical-democratico Kievskaja Mysl’ nei Balcani, dove fu testimone della guerra del 1912-1913, tragico prologo della Prima Guerra Mondiale. In quel periodo fu corrispondente di guerra per diversi giornali. Le sue corrispondenze furono successivamente raccolte nel volume Le guerre balcaniche 1912-1913 (1926).

« D’un tratto la guerra ci rivela che procediamo ancora a quattro zampe e che non siamo ancora usciti dal grembo dell’era barbarica della nostra storia. »

Con l’avvicinarsi della guerra si spostò nella neutrale Svizzera, e quindi in Francia. Fu espulso dalla Francia e viveva a New York quando la Rivoluzione Russa (febbraio 1917) rimosse lo Zar. Fece ritorno in Russia nelmaggio 1917 dove infine si unì ai Bolscevichi e divenne attivamente coinvolto nei loro sforzi per rovesciare il governo provvisorio guidato da Aleksandr Kerensky, ed anzi ne fu tra i massimi dirigenti.

Dopo la presa del potere da parte dei Bolscevichi divenne Commissario del popolo per gli Affari Esteri, con lo scopo principale di negoziare la pace con la Germania e i suoi alleati; nella speranza che i soldati tedeschi si ribellassero ai loro ufficiali si ritirò dai colloqui (10 febbraio 1918). Tale speranza fu però delusa e i tedeschi invasero il territorio russo (18 febbraio), costringendo l’Unione Sovietica a firmare l’altamente penalizzante Trattato di Brest-Litovsk il 3 marzo. Trotsky successivamente rassegnò la sua posizione diplomatica e divenne Commissario del Popolo alla Guerra. Come fondatore e comandante dell’Armata Rossa, fu ampiamente artefice del successo contro l’Armata Bianca e della vittoria nella Guerra Civile Russa, durante la quale decine di migliaia di persone vennero uccise in Russia e in Ucraina, a seguito dei pogrom promossi dai Bianchi.

Stalin al potere [modifica]

Trotsky sconfigge il drago della controrivoluzione zarista, manifesto del 1918

Con la malattia e la morte di LeninStalin e il gruppo attorno a lui (che inizialmente, nel periodo della cosiddetta trojka, includeva anche le frazioni di Lev KamenevGrigorij Zinov’ev) furono in grado di consolidare il proprio controllo sul Partito e sullo Stato. Il 1924 è l’anno della “lotta contro il trotskismo”, un feroce scontro ideologico in cui, senza risparmio di colpi bassi (con accuse reciproche molto dure sul ruolo avuto dai vari dirigenti nell’Ottobre, negli anni precedenti e negli anni successivi), viene portata avanti l’emarginazione dell’ala trotskista (che inizia a farsi chiamare “Opposizione di sinistra“), fino all’ottenimento delle dimissioni di Trotsky dal posto di Commissario del Popolo alla Guerra e agli Affari della Marina (gennaio 1925).

Trotsky aveva infatti approfondito la sua teoria della Rivoluzione Permanente (che aveva peraltro già preso le mosse subito dopo la fallita rivoluzione del 1905), che si poneva in netto contrasto con la politica stalinista di costruire il “socialismo in un solo paese“. I punti decisivi della polemica dell’Opposizione in quegli anni sono la critica al regime autoritario vigente nel Partito, la critica allo sviluppo di deformazioni burocratiche nell’apparato statale sovietico, l’opposizione allo sviluppo di una nuova borghesia in seguito al prolungamento eccessivo delle misure di mercato (NEP); sul piano delle rivendicazioni, il gruppo di Trotsky chiede una politica di forte industrializzazione, un piano di collettivizzazione volontaria nelle campagne (da realizzarsi in tempi lunghi) e soprattutto la promozione su scala mondiale di nuove rivoluzioni proletarie (Cina, Germania), viste come unica soluzione ai pericoli di involuzione del regime interno dell’URSS. Trotsky scrive il libro La Rivoluzione Tradita,nel quale denuncia i crimini della burocrazia staliniana.

Dopo la brusca rottura della trojka e la costituzione di un nuovo blocco Stalin-Bucharin che allontana da ogni posizione di potere le frazioni Kamenev e Zinov’ev (forti soprattutto a Leningrado), queste ultime formano nel 1926, insieme ad altri gruppi minori, un’alleanza con il gruppo di Trotsky che sarà conosciuta come Opposizione Unificata. Si apre una fase di scontri sempre più violenti tra il gruppo al potere e i gruppi oppositori, che contavano su decine se non centinaia di migliaia di sostenitori nel Partito e nel sindacato.

Nell’autunno 1927 l’Opposizione decide di organizzare in forma autonoma la celebrazione del decimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre; è da parte di Trotsky e dei suoi alleati un tentativo di una prova di forza nei confronti del regime staliniano in formazione. In piazza nelle principali città del Paese (e specialmente a Mosca e Leningrado) scendono migliaia di persone sotto le bandiere dell’Opposizione Unificata, che si scontrano con sostenitori di Stalin e con le milizie statali: le dimostrazioni degli oppositori sono sciolte con la forza. Pochi giorni dopo, il 12 novembre, Trotsky e Zinov’ev sono espulsi dal partito Comunista Sovietico, lasciando Stalin alla guida indiscussa dell’Unione Sovietica (Kamenev sarà espulso poche settimane dopo e in seguitò sarà liquidato anche l’alleato Bucharin).

Trotsky all’ospedale dopo essere stato ferito a morte

Piegata l’Opposizione e iniziata la persecuzione sistematica dei suoi militanti, Trotsky venne esiliato ad Alma Ata (oggi nel Kazakhistan) il 31 gennaio 1929. Fu poi espulso e si spostò dalla Turchia alla Francia e alla Norvegia, stabilendosi finalmente in Messico su invito del pittore Diego Rivera: visse ad un certo punto nella casa di Rivera, e in un altro momento in quella della moglie del pittore, l’artista Frida Kahlo, con cui ebbe una breve relazione. Nel 1938, Trotsky fondò un’organizzazione marxista internazionale, denominata Quarta Internazionale, la quale intendeva essere un’alternativa alla Terza Internazionale stalinista. Ebbe una discussione con Rivera e nel 1939 si spostò in una residenza sua. Il 24 maggio 1940, Trotsky sopravvisse a un raid nella sua casa da parte di assassini stalinisti capitanati dal pittore Siqueiros. Mentre era a casa sua, a Coyoacán (un sobborgo di Città del Messico), il 20 agosto 1940, venne aggredito alle spalle da Ramón Mercader, rivelatosi un agente stalinista, che gli sfondò il cranio usando una piccozza. Trotsky morì il giorno seguente.

Prospettiva della tomba di Trotsky

Mercader in seguito testimoniò al suo processo:

« Lasciai il mio impermeabile sul tavolo, in modo tale che fossi in grado di rimuovere la piccozza che si trovava nella tasca. Decisi di non mancare la meravigliosa opportunità che si presentava. Il momento in cui Trotsky iniziò a leggere l’articolo mi diede la chance, estrassi la piccozza dall’impermeabile, la strinsi in pugno e, con gli occhi chiusi, sferrai un colpo terrificante alla sua testa. »

La casa di Trotsky a Coyoacán è stata preservata più o meno nelle stesse condizioni in cui si trovava il giorno del suo assassinio ed è oggi un museo. La tomba di Trotsky si trova nel terreno attorno alla casa.

Poco prima del suo brutale assassinio, all’età di sessantuno anni, scrisse nel suo testamento:

« Quali che siano le circostanze della mia morte, io morirò con la incrollabile fede nel futuro comunista. Questa fede nell’uomo e nel suo futuro mi dà, persino ora, una tale forza di resistenza che nessuna religione potrebbe mai darmi… Posso vedere la verde striscia di erba oltre la finestra ed il cielo limpido azzurro oltre il muro, e la luce del sole dappertutto. La vita è bella.[2] Possano le generazioni future liberarla di ogni male, oppressione e violenza e goderla in tutto il suo splendore. »

Opere [modifica]

Durante la sua vita, Trotsky fu uno scrittore prolifico e molti dei suoi scritti sono disponibili on-line (www.marxists.org/archive/trotsky/index.htm) sotto licenza GFDL. Un’altra fonte di opere di Trotsky è The Lubitz TrotskyanaNet (in inglese).

  • Rivoluzione permanente (1930)
  • Storia della rivoluzione russa (1932)
  • La rivoluzione tradita (1938)
  • Programma di transizione (1938)

Note [modifica]

  1. ^ Lev Trotsky è il nome con cui si firmò sempre in tutti i propri scritti destinati all’estero, e perciò quello con cui lo si designa universalmente. Bronštejn fuggendo dalla prigione di Odessa assunse come pseudonimo il nome del proprio carceriere, N. Trockij: questa è la traslitterazione scientifica del nome Троцкий; sono usate anche le traslitterazioni TrotskiTrozkijTrotskijTrotzkiTrotzky. Il nome è spesso tradotto in Leone in italiano o Leon in inglese e varie lingue romanze.
  2. ^ Il titolo del film di Roberto Benigni La vita è bella è una citazione di questa frase di Trotsky.

Bibliografia essenziale [modifica]

Voci correlate [modifica]

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DOMANDA: Professor Bobbio, se la democrazia fosse tanto inflazionata nella realtà così come lo è come concetto, probabilmente vivremmo in un mondo di uguaglianza universale; ma invece non è così. Si parla indistintamente di democrazia a proposito dell’Atene di Pericle e dei Soviet di Lenin; c’è la democrazia liberale, quella socialista, c’è la democrazia cristiana. Possiamo tentare di dare una definizione minima, ma precisa, di questo termine?

BOBBIO: Io ritengo che non sia soltanto possibile dare una definizione minima della democrazia, ma che sia necessario. Se vogliamo metterci d’accordo, quando parliamo di democrazia, dobbiamo intenderla in un certo modo limitato, cioè attribuendo al concetto di democrazia alcuni caratteri specifici sui quali possiamo esser tutti d’accordo. Io ritengo che per dare una definizione minima di democrazia bisogna dare una definizione puramente e semplicemente procedurale: vale a dire definire la democrazia come un metodo per prendere decisioni collettive. Si chiama gruppo democratico quel gruppo in cui valgono almeno queste due regole per prendere decisioni collettive: 1) tutti partecipano alla decisione direttamente o indirettamente; 2) la decisione viene presa dopo una libera discussione a maggioranza. Queste sono le due regole in base alle quali a me pare che si possa parlare di democrazia nel senso minimo e ci si possa mettere facilmente d’accordo per dire dove c’è democrazia e dove democrazia non c’è.

DOMANDA: Quindi si può parlare di democrazia, sia che si tratti di decidere in un condominio sia che si tratti di decidere una legge dello Stato?

BOBBIO: Ha detto benissimo: un’associazione, una qualsiasi associazione. Qualsiasi associazione generalmente stabilisce quali sono le regole in base alle quali si prendono le decisioni che poi valgono. Anche se le decisioni vengono prese da pochi, da alcuni, anche da uno solo, l’importante è che quella decisione venga presa in base a quelle regole.

DOMANDA: Quando Lei dice queste cose mi viene in mente che effettivamente nel mondo esistono alcuni – forse neanche troppi – Stati democratici: ma all’interno di questi Stati democratici – penso a tutti gli apparati della produzione, gli apparati dei servizi, a molte delle istituzioni, dalle scuole alle caserme, ecc. – io non ci ritrovo molte delle due regole.

BOBBIO: Lei effettivamente ha ragione: qui stiamo parlando di democrazia politica. Difatti io ho considerato come una delle promesse non mantenute della democrazia proprio il fatto che la democrazia politica non si è estesa alla società e non si è trasformata in democrazia sociale. A rigore una società democratica dovrebbe essere democratica – cioè dovrebbe avere queste regole – nella maggior parte dei centri di potere. Questo in realtà nella maggior parte delle democrazie non è avvenuto. Qual è poi il centro di potere in cui dovrebbe avvenire quest’estensione delle regole democratiche? E’ la fabbrica. All’interno della fabbrica non esiste un regime democratico: le decisioni vengono prese da una parte sola, dall’altra parte c’è la possibilità di un certo controllo delle decisioni, ma le decisioni non vengono prese, da tutte, da tutte le parti che sono in gioco in quel in quel centro di potere.

DOMANDA: Quindi Lei pensa che sia auspicabile questa autodeterminazione della propria vita produttiva?

BOBBIO: Io credo che questo sia l’ideale limite della democrazia.

(Tratto dall’intervista “Che cos’è la democrazia?” – Torino, Fondazione Einaudi, giovedì 28 febbraio 1985)

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